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Pelle vegana ok: materiali innovativi cercasi

Pelle vegana

Vestire in pelle vegana compiendo scelte etiche e responsabili? Possibile! Alternative alle pelli derivanti dagli animali? Quante ne vogliamo! Questo è quel che è emerso da un’indagine che abbiamo condotto sulle concrete possibilità di acquistare prodotti in pelle che non contengano per forza animali o che non siano fatti al 100% da PVC (come la pelle sintetica).

Quello che è emerso è un variegato panorama di progetti, prodotti sperimentali, prodotti già presenti sul mercato, orientati al trend sulla pelle vegana.

Cercando di stimare il livello di maturità della tecnologia, abbiamo assegnato una valutazione del Technology Readiness Levels – TRL, collocando il singolo materiale su una scala da TRL 1, ovvero corrispondente ai materiali in corso di test, in cui le caratteristiche di base sono osservate e registrate, a TRL 9, ovvero prodotto commercializzabile, presente sul mercato.

Ad un livello inferiore di sviluppo troviamo materiali derivanti dalla fermentazione del te e dalla soia. A seguire, vi sono dei progetti e prodotti che utilizzano invece funghi, mango, corteccia, pietra o cocco.

Possiamo invece trovare sul mercato, i prodotti in pelle naturale prodotta con l’utilizzo di vinaccia, foglie, pale di fico d’india, agave, di caffè, mela, ananas, sino agli ancor più diffusi sughero e foglie di gelso.

Quale futuro per la pelle vegana?

E mentre alcuni prodotti hanno il carattere di straordinarietà e di temporaneità e risultano dunque essere proposti da alcuni grandi brand in concomitanza di particolari eventi o di singoli lanci speciali, altri prodotti o, meglio, altri materiali innovativi e naturali, sembrano essere ormai proposte stabili sul mercato, utilizzati soprattutto da piccoli brand specializzati in abbigliamento vegan con focus elevato alla sostenibilità ambientale e all’eticità dell’offerta. È questo il caso della pelle realizzata con scarti di mela, di fibre di ananas, di fibre di legno, di sughero, caffè, cocco, scarti del latte o foglie di gelso: e se vogliamo immaginarci come sarebbe Fonzarelli nel 2020, è proprio con uno di questi materiali che lo intravediamo fare il suo ingresso da Arnold’s.

La Blockchain indossa la toga alla corte digitale

Peculiarità della tecnologia Blockchain è la registrazione di informazioni in modo che non siano suscettibili di modificazioni, qualità che si presta a molteplici ambiti di applicazione: dall’agro-alimentare alla logistica, dal settore finanziario alla Pubblica Amministrazione. La ricerca di Hitoshi Matsushima della Facoltà di Economia dell’Università di Tokyo e Shunya Noda della Vancouver School of Economics dell’Università della Colombia Britannica ne potrebbe infatti ampliare ulteriormente il raggio d’azione: i due professori hanno progettato utilizzando le tecnologie esistenti un tribunale digitale, atto a risolvere controversie legali attraverso la blockchain.

La corte digitale attraverso gli smart contract è in grado di identificare i contraenti che si discostano dagli accordi legali stabiliti e, conseguentemente, anche di punirli. Un sistema di algoritmi, elaborando le testimonianze delle parti, è in grado di giudicare l’eventuale violazione intercorsa e conseguentemente di sanzionare il responsabile trattenendo una cauzione depositata in sede iniziale di accordo. Il meccanismo ideato sfrutta la blockchain per risolvere controversie legali senza procedimenti onerosi.

In merito al dibattito su sicurezza e integrità della Blockchain, Matsushima mostra consapevolezza del fatto che possa rivelarsi “un’arma a doppio taglio”, ma anche estrema fiducia nella collaborazione tra enti di controllo e innovatori per la risoluzione di eventuali problematiche.

La piattaforma di smart contract progettata da Hitoshi Matsushima e Shunya Noda potrebbe essere realizzata già nel 2020 usando risorse esistenti come Ethereum: permetterebbe di risparmiare tempo, denaro e lavoro e potrebbe essere impiegato per aste, contratti commerciali e vendite. 

Sfruttare il Wi-Fi per produrre energia: possibile?

E se fosse possibile ricaricare il laptop o il cellulare sfruttando energia prodotta dal segnale wireless domestico? Un gruppo di ricercatori del MIT guidati da Hiroki Isobe, postdoc presso il Materials Research Laboratory, ha concepito e brevettato il progetto per un dispositivo in grado di convertire le onde terahertz emesse nell’ambiente dalle reti Wi-Fi in una fonte energetica. E tutto, forse, grazie al grafene.

Ogni dispositivo in grado di diffondere onde Wi-Fi emette anche onde elettromagnetiche teraheartz, una fonte di energia inutilizzata perché non esistono strumentazioni in grado di sfruttarne le potenzialità, almeno finora.

Il team di ricercatori che ha dato origine al progetto si è messo all’opera con i fisici sperimentali del MIT per tentare di sviluppare un componente che possa fungere da raddrizzatore teraheartz: un quadrato di grafene posizionato sul nitruro di boro e affiancato ad un’antenna.

Il congegno progettato sfrutta il comportamento del grafene che, per azione della combinazione con il nitruro di boro, vedrebbe i propri elettroni convogliare verso una direzione comune proprio attraverso le onde teraheartz presenti nell’ambiente, generando una corrente energetica continua.

Secondo Hiroki Isobe del MRL“Siamo circondati da onde elettromagnetiche nella gamma dei teraheartz. Se siamo in grado di convertire quell’energia in una fonte di energia che possiamo usare per la vita quotidiana, ciò contribuirebbe ad affrontare le sfide energetiche che stiamo affrontando in questo momento”.

Il tessuto che rinfresca: l’outfit tecnologico è cool

Vestirsi per sentirsi freschi. Non un ossimoro, ma la caratteristica dei capi di abbigliamento realizzati con i filati tecnologici della startup brrr° di Atlanta, Georgia.

Per i propri tessuti di nylon e poliestere la società statunitense utilizza una tecnologia brevettata che, combinando minerali naturali, assorbimento attivo e asciugatura rapida, garantirebbe una maggiore freschezza. I test di laboratorio condotti da Intertek Testing Services Taiwan durante la prima metà del 2019 con misurazioni qmax (watts/m2°C) attestano che i filati brrr° hanno ottime performance in termini di assorbimento e asciugatura di calore e umidità, distanziando notevolmente i competitor.

La tecnologia brevettata viene incorporata dal produttore nella struttura stessa del filato in modo da garantire la resa nel tempo a prescindere dalla frequenza dei lavaggi a cui il tessuto è sottoposto.