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Che tempo ci sarà tra tre mesi?

Photo taken in Heide, Germany

Quanto sono importanti le previsioni meteo? Moltissimo.

Non godono della sola utilità del poter programmare un weekend fuori porta, ma nemmeno viene ad essa attribuita soltanto la scelta sullo stendere il bucato all’aperto.

Le previsioni meteorologiche hanno infatti importantissime ripercussioni sulla predizione e stima del fabbisogno energetico ed anche sulla produzione di energia rinnovabile.

Stimare con maggiore affidabilità domanda e offerta di energia rinnovabile è dunque il principale obiettivo del progetto S2S4E, finanziato dall’Unione Europea e avviato nel mese di dicembre del 2017. Con un team di progetto costituito da partner industriali ed accademici, coordinato da Albert Soret e dal  Barcelona Supercomputing Center – Centro Nacional de Supercomputacion – ha mirato allo sviluppo di un servizio di previsione meteo online che combinasse previsioni climatiche sub-stagionali fino a 4 settimane con previsioni climatiche stagionali fino a 3 mesi.

 

“Questo strumento di previsione può essere utile anche per le persone che lavorano in altri settori, come l’agricoltura, le assicurazioni ed il turismo”

Albert Soret 

 

Prevedere le condizioni atmosferiche addirittura con 3 mesi di anticipo, consente infatti da un lato di effettuare stime migliori circa la quantità generata di energia eolica, solare e idroelettrica e, dall’altro lato, di prevedere quanta energia sarà necessaria sulla base delle condizioni climatiche stesse. Questo è il compito del S2S4E Decision Support Tool (DST), il servizio innovativo di previsione tarato sul settore delle energie rinnovabili in grado di resistere al cambiamento climatico e agli eventi atmosferici estremi.

Senza un modello affidabile, risulta impossibile pianificare con anticipo la domanda di energia: sapere che arriverà una forte ondata di caldo africano ci consentirà per esempio di capire quanta energia sarà necessaria per l’utilizzo dell’impianto di condizionamento. Il cambiamento climatico, inoltre, ha contribuito ad alimentare ancor di più una necessaria affidabilità.

 

 

Indispensabile è stato il coinvolgimento di un esperto di commercializzazione per aiutare tutto il team (più avvezzo alla ricerca e meno alla vendita) nel rendere il prodotto più sfruttabile: migliorarne l’interfaccia, l’usabilità, la pertinenza dello Strumento di Supporto Decisionale.

Il progetto dovrebbe concludersi con il finire del 2020, ma proseguirà ancora per almeno un anno e mezzo la convalida circa il funzionamento dello strumento.

Il drone EPFL ha coda e ali mobili che si adattano alle esigenze di volo

Come perfezionare il volo di un drone se non prendendo esempio dalla natura? Il team di EPFL per realizzare un nuovo modello, ha scelto infatti di ispirarsi alla conformazione e alle modalità di movimento dell’astore, un uccello rapace.

Gli scienziati del Laboratory of Intelligent Systems guidato da Dario Floreano hanno osservato i comportamenti dell’uccello e hanno progettato un oggetto con caratteristiche simili. Come l’astore muove coda e ali in modo coordinato per eseguire movimenti precisi, così si comporta il drone dalla forma di rapace.

Il nuovo drone possiede infatti una coda piumata in grado di cambiare conformazione coordinandosi con le ali, in funzione delle necessità. Il primo progetto di ala in grado di trasformarsi risale al 2016, ma il recente modello vanta una mobilità molto più evoluta grazie alle piume artificiali.

La possibilità di ali e coda di mutare forma coordinandosi permette al drone di mettere in atto movimenti più precisi rispetto ad altri modelli: cambi di direzione repentini, migliore performance contro la resistenza dell’aria, voli più lenti senza perdere quota.

Il vantaggio maggiore del drone alato sui simili quadrirotori è la capacità di volare più a lungo a parità di peso. Uno svantaggio è che i secondi possono librarsi sul posto e compiere curve più strette rispetto al modello del team EPFL. “Il drone appena progettato si colloca da qualche parte nel mezzo. Può volare a lungo ed è quasi agile quanto i quadrirotori” afferma Floreano.

Le peculiarità del drone EPFL lo rendono il modello ideale per l’impiego nelle foreste e fra gli alti edifici cittadini. Ma, data la difficoltà di manovrare manualmente l’ampia varietà di combinazioni fra ali e coda, per sfruttarne pienamente le potenzialità il team ha in mente di incorporare all’oggetto l’intelligenza artificiale.

 

Enrico Ajanic, Mir Feroskhan, Stefano Mintchev, Flavio Noca, D. Floreano sono gli autori della ricerca “Bioinspired wing and tail morphing extends drone flight capabilities”, pubblicata su Science Robotics, 5, eabc2897 (2020). Lo studio è stato realizzato con il supporto di NCCR Robotics.

L’Intelligenza Artificiale per lo screening del tumore al seno

Dall’università di Barcellona arriva il primo test non invasivo che consente di effettuare lo screening del tumore al seno. Vincitore del premio James Dyson Award 2020, si tratta di un dispositivo biomedicale unico grazie ad alcune fondamentali caratteristiche che lo rendono diametralmente opposto allo screening tradizionale, l’esame mammografico.

Innanzitutto è indolore: Judit Giró Benet evidenzia infatti che tra le prerogative alla base della realizzazione del progetto, vi è proprio la scoperta di uno studio dal quale emergeva che circa la metà delle donne che non effettuano controlli per il tumore al seno, riportano quale principale motivazione il fastidioso dolore dell’esame mammografico.

In secondo luogo non è irradiante: l’esposizione annuale a radiazioni, è essa stessa causa di tumore.

È accurato: Benet, evidenzia come il 93,5% delle diagnosi di tumore al seno sono dei falsi allarmi (Dato Dipartimento Catalano della Salute).

In ultimo, ma non meno importanti: è low cost ed effettuabile a domicilio, rapidamente, con rilevanti effetti anche sulla riduzione dell’ansia. Niente lunghe liste d’attesa per effettuare l’esame e niente stressanti ed insostenibili attese per la diagnosi.

Come funziona? Basta introdurre un campione di urina all’interno della Blue Box. L’algoritmo basato sull’intelligenza artificiale, reagisce a specifiche sostanze contenute nelle urine (metaboliti) con un tasso di classificazione >95%.

Il primo step è creare un’utenza sulla Blue App. Si può procedere poi alla raccolta di un campione di urine da posizionare nella Blue Box. Premendo poi il tasto “Start” presente all’interno dell’App, verranno attivati 6 sensori chimici, che reagiranno a determinati biomarcatori. La reazione verrà poi inviata al Cloud di The Blue Box che darà avvio all’algoritmo AI. Successivamente, si riceverà la diagnosi, direttamente nell’App installata sul proprio cellulare.

Il percorso che ha portato alla realizzazione della Blue Box, parte nel 2017, quando Judit Giró Benet ha realizzato la sua tesi di laurea in Ingegneria Biomedica. E se il primo prototipo spagnolo costava 30€, è con il secondo prototipo, sviluppato da Benet ad Irvine, presso l’Università della California, che si è vista l’introduzione dell’Intelligenza Artificiale e il rafforzamento dell’obiettivo di distribuirlo a quante più donne, nel mondo.

Per il futuro, Benet intende innanzitutto brevettare la tecnologia di Blue Box e in secondo luogo, testarla su un maggior numero di pazienti.

 

La casa che autoalimenta il tuo smartphone

Abbiamo sempre più bisogno di energia! Sono infatti sempre più i dispositivi domestici da alimentare: IoT, casa intelligente, apparecchi connessi senza fili, smartphone, altoparlanti, sensori…

Dalla necessità di quote sempre più elevate di energia elettrica, prende avvio la realizzazione di un progetto di ricerca molto interessante: pubblicato sulla rivista Advanced Energy Materials, è frutto del lavoro di ricerca dell’Università di Cambridge, dell’Imperial College di Londra e della cinese Soochow University (Lead‐Free Perovskite‐Inspired Absorbers for Indoor Photovoltaics, https://doi.org/10.1002/aenm.202002761, Novembre 2020, Yueheng Peng, Tahmida N. Huq, Jianjun Mei, Luis Portilla, Robert A. Jagt, Luigi G. Occhipinti, Judith L. MacManus-Driscoll, Robert L. Z. Hoye, Vincenzo Pecunia).

 

 

Nuovi pannelli solari, decisamente più green. A differenza dei normali materiali utilizzati, infatti, si è proceduto in questo caso con lo sviluppo di materiali ispirati alla perovskite, che si basano però su elementi più sicuri, quali il bismuto e l’antimonio. Questi ultimi, seppur non del tutto efficienti nell’assorbimento della luce solare, si sono mostrati molto efficaci con la luce interna ed in grado di fornire quantità soddisfacenti di energia, perfette per far funzionare i dispositivi IoT con elettronica a bassa potenza.

 

“La nostra scoperta apre la strada a nuove direzioni nella ricerca di materiali green, in grado di fornire energia sostenibile ai nostri dispositivi intelligenti.”

Professor Vincenzo Pecunia, Soochow University, China

 

I nuovi materiali al vaglio dei ricercatori e per i quali sono già stati individuati prossimi step di miglioramento, potrebbero in futuro essere applicati a substrati di diverso tipo, dalla plastica al tessuto: un’applicazione attualmente impraticabile per i pannelli solari tradizionali.

La ricerca è stata finanziata dall’Engineering and Physical Sciences Research Council (EPSRC) e dalla National Natural Science Foundation of China.

VIRKILL®, il tessuto antivirale comasco che inibisce il Covid-19

È made in Cabiate, provincia di Como, il nuovo tessuto antivirale VIRKILL®, realizzato con nano-particelle di rame incorporate nel filo. Artefice dell’innovativo prodotto l’azienda Italtex, fondata da Alessandro Pedretti, amministrata dal figlio Enrico e attiva nel settore da oltre 70 anni.

Negli ultimi mesi abbiamo trattato a più riprese di nuovi trattamenti, tessuti e prodotti dalle avanguardistiche proprietà antibatteriche. Ne sono esempio le tecnologie Sanitized®,  ViroBlock, ViralOFF e i dispositivi di protezione di Directa Plus e DèMask

La lotta al Covid-19 continua a rappresentare una minaccia per la nostra salute e, conseguentemente, la ricerca di possibili soluzioni è priorità per moltissime realtà produttive, anche nel territorio comasco.

Italtex ha realizzato in collaborazione con Ambrofibre un materiale in grado di inibire i virus con una percentuale di efficacia del 99,9% sfruttando il potere igienizzante naturale del rame. Le nanoparticelle del materiale effondono i radicali liberi dell’ossigeno una volta entrate a contatto con i batteri e agendo sugli atomi di idrogeno delle loro proteine ne intaccano la carica virale.

La proprietà antivirale di VIRKILL® non deriva da trattamenti di superficie, ma è intrinseca nel tessuto. Un aspetto che rende la ricerca brevettata di Italtex fortemente innovativa rispetto a prodotti analoghi e ne garantisce una maggiore durata contro l’effetto deteriorante dei lavaggi.

Il tessuto è stato certificato contro il Covid-19 secondo lo standard ISO 18184:2019 a seguito degli esiti positivi già del primo controllo. I test hanno permesso di rilevare un indice Mv – di attività antivirale – di 3,25, corrispondente, appunto, a una percentuale di successo del 99,9 %.

Le peculiarità di VIRKILL® rendono il materiale adatto all’applicazione in molteplici ambiti. Moda, hôtellerie, ristorazione, sanità: i vantaggi dell’utilizzo del prodotto con carica antivirale intrinseca di Italtex potrebbero essere sostanziali in settori dove i tessuti possono contribuire alla trasmissione di batteri.

Da Harvard un sensore per robotica e tessuti ultra resistente

Sensibili, ma resistenti: queste le caratteristiche che rendono ottimali e pienamente funzionali i sensori estensibili. Rendere compatibili le due proprietà è complesso, ma i ricercatori dell’Università di Harvard hanno centrato l’obiettivo realizzando una tecnologia ad alta sensibilità ma anche ad alta resilienza, incorporabile in tessuti o sistemi robotici mobili.

Il team della Harvard John A. Paulson School of Engineering and Applied Sciences e del Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering ha infatti saputo ovviare al problema della fragilità tipica dei sensori più potenti. E per il design della sua scoperta si è ispirato allo Slinky: la nota molla giocattolo a spirale estensibile.

“Abbiamo iniziato con un materiale sfuso rigido, in questo caso fibra di carbonio, e l’abbiamo modellato in modo tale che il materiale diventasse elastico” spiega Oluwaseun A. Araromi, ricercatore associato in scienza dei materiali e ingegneria meccanica e primo autore dell’articolo. Le fibre conduttive di carbonio sono state collocate dai ricercatori tra due substrati elastici.

Come le spirali dello Slinky si allontanano nel momento in cui si tirano le estremità, così la conduttività del sensore muta quando i bordi della fibra di carbonio perdono contatto fra di loro. La sensibilità del prodotto è tale da generare il fenomeno anche sotto azione di sforzi ridotti. Il sensore è stato incorporato in una manica di tessuto e sottoposto ad alcuni test: sono bastati movimenti minimi dei muscoli dell’avambraccio affinché i gesti compiuti venissero registrati dagli algoritmi di apprendimento automatico.

In questi sensori l’alta sensibilità si accompagna anche a una resistenza mai ottenuta prima. La straordinaria robustezza è stata comprovata sottoponendo il sensore a lavaggi multipli in lavatrice, colpi di martello, tagli effettuati col bisturi e, addirittura, investimenti con l’auto. Nulla ha scalfito l’oggetto creato dal team di Harvard: un vantaggio significativo.

Robert J. Wood, professore di ingegneria e scienze applicate presso Harvard SEAS e autore senior dello studio, evidenzia inoltre come il grado di innovazione del sensore non dipenda solo alle qualità di sensibilità e resistenza, ma anche da un terzo fattore. Ulteriore aspetto cruciale della tecnologia realizzata è infatti il basso costo dei materiali e dei metodi di assemblaggio con cui è stata realizzata.

I sensori estensibili del team di Harvard possono essere realizzati con qualsiasi materiale conduttivo, a differenza di quanto avviene con quelli attualmente esistenti, che esigono materiali e tecniche di produzioni speciali. Un potenziale che potrebbe agevolare l’applicazione della scoperta in molti ambiti, dalle simulazioni di realtà virtuale all’abbigliamento sportivo, passando dalla diagnostica di malattie neurodegenerative quali in Parkinson.

 

Coautori della ricerca pubblicata su Nature: Moritz A. Graule, Kristen L. Dorsey, Sam Castellanos, Jonathan R. Foster, Wen-Hao Hsu, Arthur E. Passy, ​​James C. Weaver e Joost J. Vlassak, Conor J. Walsh.

Un tessuto in grado di memorizzare la propria forma?

I ricercatori della John A. Paulson School of Engineering and Applied Sciences (SEAS) di Harvard, hanno sviluppato un materiale molto innovativo, simile alla lana.

Dove sta la sua unicità? Vi è mai capitato di acquistare una t-shirt a taglia unica, che di unico aveva ben poco? Ecco, immaginiamo ora una maglietta a taglia unica che sia in grado di diventare dell’esatta taglia di colui che la indossa, ogni qualvolta venga sottoposta ad uno stimolo esterno.

O ancora, immaginiamo di poter istruire una maglietta con delle prese d’aria a procedere nell’aprirle nel momento in cui rileva che abbiamo caldo, o immaginiamo di poter insegnare ad un maglione a ripiegarsi ogni volta che viene lavato.

image of keratin sheet changing from a tube to a star

Il nuovo tessuto, che come detto è simile alla lana, è un materiale biocompatibile che può essere stampato 3D in qualsiasi forma. Tale forma sarà memorizzata dalla fibra stessa, così da poter essere ripristinata reversibilmente. Come è possibile? Mediante l’utilizzo della cheratina, una proteina fibrosa presente nei capelli, ma anche nelle unghie e nelle conchiglie, ma estratta, in questo caso, dagli scarti della lana d’Angora.

Spesso abbiamo parlato di come sostenibilità e innovazione si tengano per mano, nell’intento di ridisegnare un futuro fatto di tecnologie eco-sostenibili, ed eccone qui un altro esempio. La lana viene recuperata e riciclata, per la creazione di qualcosa mai visto prima e, anzi, nemmeno mai immaginato!

Kit Parker, docente di bioingegneria e fisica applicata al SEAS evidenzia come con la proteina della cheratina estratta dalla lana di scarto, da riciclo, sia possibile generare una riduzione dell’impatto ambientale del settore tessile.

Luca Cera, post-doc presso il SEAS e autore insieme a Parker dell’articolo* pubblicato su Nature Materials afferma che la chiave della capacità di memorizzare la propria forma e di modificarla insita in questo nuovo materiale, sta nella struttura gerarchica della cheratina, nota come alfa-elica i cui legami chimici connettivi conferiscono al materiale forza di ripiegarsi. Si tratta infatti di due catene attorcigliate che vanno a formare una bobina a spirale, una sorta di “molla”: tali bobine sono assemblate in protofilamenti fino a formare fibre di dimensioni più grandi. Queste fibre, sottoposte a stimoli specifici, fanno “srotolare” la struttura a molla, riallineando i legami e ponendola in una posizione fino a che non verrà sottoposta a nuovo stimolo per riavvolgersi nella sua originale forma.

I ricercatori hanno utilizzato come stimolo una soluzione a base di perossido di idrogeno e fosfato monosodico, da utilizzare su un foglio di cheratina ripiegato a forma di stella origami. Modificando la forma del foglio in un tubo molto stretto, è stato possibile ripristinare l’origami da cui partiva riponendolo nella soluzione.

Il curioso materiale può essere utilizzato per un’infinità di applicazioni, dall’ingegneria tessile, ai tessuti, al campo medico, ecc. grazie alla possibilità di definire le caratteristiche strutturali da memorizzare mediante stampa 3D in due fasi, fino a livello micron.

 

*Co-autori: Grant Gonzalez, Qihan Liu, Suji Choi, Christophe Chantre, Juncheol Lee, Rudy Gabardi, Myung Choi e Kwanwoo Shin). La ricerca è stata sostenuta in parte dall’Harvard Materials Research Science and Engineering Center (MRSEC), anche grazie al contributo DMR-1420570 della Nation Science Foundation.

Superconduttore a temperatura ambiente? Potrebbe diventare realtà

Lo sviluppo di superconduttori a temperatura ambiente è un obiettivo cruciale nella fisica della materia. Fino ad ora la conduttività dei materiali nei dispositivi era vincolata alla presenza di temperature estremamente rigide, fattore che ne limita l’applicazione. Ma i ricercatori dell’Università di Rochester hanno compiuto un essenziale passo in avanti realizzando un prototipo funzionante a 14,5 gradi centigradi circa.

Il team di ingegneri e fisici guidati da Ranga Dias, assistente professore di ingegneria meccanica e fisica e astronomia presso l’Università di Rochester, ha infatti sintetizzato un materiale superconduttore a temperatura ambiente. L’articolo sulla ricerca è apparso recentemente nella testata Nature.

Si tratta di una combinazione di idrogeno, carbonio e zolfo che può essere metallizzato utilizzando una cella a incudine di diamante, dispositivo in grado di esaminare materiali con pressione estremamente alta. L’idruro di zolfo carbonioso generato ha mostrato superconduttività in una condizione di 14,5° circa e pressione di circa 39 milioni di libbre per pollice quadrato.

La scoperta potrebbe rivelarsi sostanziale in diversi ambiti di applicazioni, dalla mobilità elettrica ai campi inerenti la levitazione magnetica. L’impiego della ricerca prospetta vantaggi quali la trasmissione di elettricità senza perdite o il rinnovamento delle tecniche di scansione medica.

Ashkan Salamat, assistente professore di fisica presso l’Università del Nevada di Las Vegas e coautore della scoperta, afferma che “Con questo tipo di tecnologia puoi portare la società in una realtà superconduttrice dove non avrai più bisogno di cose quali le batterie”.

La prossima sfida del team è quella di creare materiali superconduttori a temperature ambiente, ma a una pressione nettamente inferiore, simile a quella atmosferica. Dias e Salamat hanno avviato con questo scopo un’azienda, la Unearthly Materials, e sono in attesa di brevetto.

 

I coautori della ricerca sono Elliot Snider, Nathan Dasenbrock-Gammon, Raymond McBride, Kevin Vencatasamy e Hiranya Vindana, tutti membri del Dias Lab. Mathew Debessai di Intel Corporation e Keith Lawlor dell’Università del Nevada di Las Vegas.

 

Kinematics Cloth: l’abito flessibile interamente stampato 3D

Abbiamo già parlato di utilizzo della stampa 3D per la creazione di calzature sportive in un precedente articolo. Quello che Nervous System è stata ed è in grado di realizzare espande ancor più i confini dell’applicazione di questa tecnologia di stampa.

Attivi nella progettazione e produzione di nuovi prodotti ad elevato contenuto estetico, Nervous System è uno studio di design che combina ricerca scientifica, computer grafica, matematica e fabbricazione digitale.

E partendo dalla creazione di gioielli ed altri accessori, sono riusciti ad arrivare già qualche anno fa, alla produzione di un abito unico nel suo genere, perfettamente adattabile alla silhouette. Per il raggiungimento di tale scopo, è infatti disponibile un’app in grado di realizzare scansioni 3D del fisico di chi lo indosserà. Si chiama Kinematics Cloth ed è in grado di personalizzare il prodotto finale per dimensioni, stile, flessibilità ed anche modello dell’abito.

Il risultato è un vestito realizzato interamente mediante un processo di stampa 3D, ma che può essere trattato come qualsiasi tessuto sintetico. Più nel dettaglio, in riferimento alla tecnologia, si tratta di Sinterizzazione Selettiva con laser o SLS, una tecnologia di produzione additiva che impiega un raggio Laser per sinterizzare delle particelle di polvere (in questo caso) di nylon.

È costituito da decine di migliaia di pezzi distinti che non richiedono però alcun assemblaggio: questo perché meccanismi e cerniere sono stampati direttamente, già assemblati. E seppur costituito da piccole forme rigide, ne deriva un capo comodo e  completamente adattabile.

Se il prototipo era un abito costituito da migliaia di triangoli in plastica, il Museum of Fine Arts di Boston ne ha poi commissionata una versione da esporre alla mostra #techstyle del 2016 (mostra che ha combinato fashion e tecnologia) costituita da migliaia di petali stampati 3D. Per la sua progettazione e produzione, si è rivelato necessario adattare il software di progettazione, sviluppandone uno nuovo con ulteriori strumenti di simulazione. I petali sovrapposti l’un l’altro, richiedevano infatti una nuova strategia. Il risultato è stato anche qui davvero stupefacente.

 

Grazie all’intelligenza artificiale basta un colpo di tosse per rilevare il Covid-19

Il Covid-19 continua ad essere una priorità mondiale: la sua ampia diffusione spinge i ricercatori a impegnarsi nella lotta contro la pandemia sviluppando progetti innovativi. Recentemente un team del MIT ha scoperto che i soggetti positivi al Coronavirus tossiscono in modo diverso dai negativi ed è in grado di individuarli grazie all’intelligenza artificiale. Una ricerca che può rivelarsi sostanziale contro l’espansione della malattia.

Un articolo pubblicato sull’IEEE Journal of Engineering in Medicine and Biology dai ricercatori Brian Subirana, Jordi Laguarta e Ferran Hueto descrive e dimostra i risultati dello studio. Utilizzando un algoritmo che esamina la tosse forzata dei soggetti esaminati è possibile individuare chi ha contratto il virus.

Il modello del MIT, settato su migliaia di campioni di tosse e parole, ha identificato il 98,5% di emissioni prodotte da soggetti positivi al Covid-19, di cui il 100% dei casi asintomatici.

In passato il team di ricerca aveva già elaborato degli algoritmi tarati sull’emissione di tosse per individuare casi di malattie quali asma, polmonite e Alzheimer. Il modello di intelligenza artificiale settato per rilevare i segnali di Alzheimer si è dimostrato essenziale per lo studio sul Coronavirus. Le due malattie hanno infatti sintomi simili tali per cui il comportamento delle corde vocali risulta analogo.

Per individuare i biomarcatori del Covid-19 e valutare la degradazione polmonare sono stati combinati tre algoritmi di apprendimento. Il primo è settato sul grado di forza delle corde vocali, il secondo sugli stati emotivi del linguaggio e il terzo sui colpi di tosse.

Il team di ricercatori dell’Auto-ID Laboratory del MIT è ora al lavoro per incorporare il modello di intelligenza artificiale a un’applicazione: all’utente basterebbe accedere e tossire per avere feedback immediato sulla possibilità di infezione. Uno strumento gratuito che potrebbe attestarsi come valido alleato nelle attività di screening preventive, essenziali in questa fase di seconda ondata del virus.