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BIOFUSION®: il cotone biologico di Albini Group tracciato scientificamente

Sostenibilità e innovazione: le attività di Albini Group, realtà tessile storica situata in provincia di Bergamo, sono da sempre caratterizzate dalla massima attenzione rivolta a qualità e nuove tecnologie.

Abbiamo già parlato di Albini Group e del suo coinvolgimento nell’ambito della ricerca trattando in passato la notizia dello sviluppo di ViroFormula, tessuto antivirale realizzato con l’impiego della tecnologia Viroblock.

Un impegno, quello rivolto all’innovazione, recentemente rinnovato dal gruppo bergamasco in favore della sostenibilità con lo sviluppo di BIOFUSION®: progetto dedicato alla coltivazione controllata dei materiali e alla produzione di un cotone biologico tracciabile scientificamente.

La società bergamasca, che vantava già discreta esperienza nella selezione e coltura di materie prime di qualità, ha dato il via a una partnership con alcuni produttori statunitensi collocati in New Mexico, Texas e California per la realizzazione di filati biologici controllati delle qualità pregiate Supima® e Upland.

Il progetto, volto a generare un controllo completo sulla filiera produttiva, è coordinato da Daniele Arioldi e Francesco Bianchetti, Presidente il primo e Direttore Commerciale il secondo di ICA, I Cotoni di Albini S.p.a.

ICA si occupa dunque direttamente della coltivazione dei filati, garantendo il rispetto delle normative e degli standard di qualità. Le piantagioni da cui proviene il cotone biologico devono rispettare alcuni requisiti: aver accolto la coltivazione di soli prodotti organici nei tre anni precedenti, l’impiego di semenze prive di OGM, l’esclusione di fertilizzanti, insetticidi e pesticidi chimici e l’uso di defoliazione naturale.

Oltre alle peculiarità dei metodi di coltivazione, il cotone BIOFUSION ® si caratterizza come sostenibile anche per l’adozione dell’irrigazione a goccia. L’acqua viene infatti erogata in piccole quantità direttamente nella zona del terreno contigua a pianta e radici, evitando consumi eccessivi e sprechi.

La trasparenza completa in ogni fase di produzione dei tessuti appare sempre più sostanziale oggi: per i filati BIOFUSION® la tracciabilità è certificata scientificamente con Oritain™. Il prodotto viene campionato e analizzato in modo che ne possa essere determinato un profilo unico, la sua impronta digitale di origine.

Ogni processo della supply chain, dalla coltivazione al prodotto finito, può essere controllato verificandone la compatibilità con l’impronta digitale unica del cotone corrispondente che, definendone le proprietà, ne garantisce standard e qualità. In questo modo l’autenticità del filato viene costantemente certificata.

I filati BIOFUSION®, che possiedono inoltre le certificazioni di settore Global Organic Textile Standard (GOTS) e Organic Content Standard (OCS), possono essere impiegati negli ambiti più svariati: moda, calzetteria, sport e arredo.

Il robot addestrato con l’Intelligenza Artificiale

I cani robot non sono una novità: da quelli che si cimentano in pratiche sportive ai più recenti che controllano il rispetto del distanziamento sociale. A prescindere dalle caratteristiche fisiche specifiche, tutti questi robot hanno in comune una principale peculiarità: sono manovrati da remoto.

Caratteristica non riscontrabile in Jueying: creato da un team di ricercatori dell’Università cinese di Zhejiang insieme all’Università di Edimburgo, il cane robot riesce a muoversi nello spazio e a rispondere a determinati stimoli semplicemente perché ha imparato a farlo.

Immaginiamo un bambino che impara a camminare quando più piccolo. Una volta chiesto al bambino di compiere dei movimenti specifici, come salire le scale o sedersi, non si procede a dare istruzione sul come muovere una gamba o un braccio, passo passo. Il bambino lo imparerà semplicemente provandoci. Allo stesso modo, a Jueying non vengono fornite indicazioni su ogni possibile scenario realizzabile. Anche perché il mondo reale è un continuo imprevisto: difficilmente sarebbe possibile codificare ogni situazione, ogni comportamento, ogni reazione ad uno stimolo.

Zhibin Li, robotista dell’Università di Edimburgo e autore di un recente articolo sulla rivista Science Robotics che descrive il funzionamento di Jueying, insieme al team di ricerca, ha innanzitutto addestrato il software a guidare una versione virtuale del cane robot. Come? Mediante lo sviluppo di un’architettura di apprendimento con otto “esperti” algoritmici con lo scopo di aiutare il cane robot a mettere in atto ed imparare comportamenti complessi. Per ognuno di questi, è stata utilizzata una rete neurale profonda, specializzata in una particolare tipologia di abilità. Al robot sono poi state fornite delle “ricompense digitali” in caso di successo o, viceversa, dei “demeriti digitali” in caso di insuccesso. In questo modo, ognuno degli “esperti” ha acquisito padronanza su un’esperienza.

Grazie all’Intelligenza Artificiale, il robot simulato ha così potuto procedere per tentativi ed errori, sino ad imparare dall’esperienza, a differenza dei robot tradizionali in cui ogni possibilità, ambiente, configurazione è codificata meticolosamente, riga per riga. Non c’è modo di prevedere totalmente il caos, non è possibile codificare ogni imprevisto. Al contrario con l’AI, Jueying è in grado di resistere all’imprevisto.

Come si è detto, al contrario del metodo tradizionale, questo approccio consente di imparare compiendo un’azione centinaia di migliaia di volte o anche milioni di volte, se necessario. Quel che risulta fondamentale è il coordinamento e la collaborazione tra gli otto esperti algoritmici: i ricercatori li hanno infatti combinati in una rete globale in modo da farli agire (e reagire) allo stesso modo in cui una squadra si muove grazie al suo allenatore/capitano. (Nel video qui sopra, gli 8 esperti sono rappresentati dalle 8 barre verticali colorate). Camminare su una superficie ricoperta di pietre senza brutte distorsioni alle caviglie, correre su una superficie scivolosa: se il cane robot dovesse perdere l’equilibrio, tutti gli otto esperti, agiscono per ripristinare l’equilibrio, per farlo reagire, per farlo proseguire, ecc. E tutti questi apprendimenti, possono poi essere trasferiti dal robot virtuale al robot fisico.

 

Avremo così macchine più intelligenti, in grado di combinare abilità flessibili e adattive e di gestire una varietà di compiti mai visti prima.

Zhibin Li

 

 

Fonte:
Chuanyu Yang, Kay Yuan, Qiuguo Zhu, Wanming Yu, Zhibin Li (2020) Multi-expert learning of adaptive leggend locomotion, Science Robotics 9 Dec 2020, Vol. 5, Issue 49, eabb2174, DOI: 10:1126/scirobotics.abb2174

 

Nanosensori integrati alle foglie per rilevare l’arsenico nel terreno

Certificare la qualità di terreno e produzioni agricole attraverso un sensore integrato direttamente alle foglie? Perché no! I ricercatori di SMART hanno progettato dispositivi su nanoscala che, incorporati alle piante, permettono di rilevare in tempo reale i livelli di arsenico nel sottosuolo.

Il team del Disruptive and Sustainable Technologies for Agricultural Precision (DiSTAP), uno dei cinque gruppi di ricerca interdisciplinare del Singapore-MIT Alliance for Research and Technology (SMART), ha realizzato un nuovo tipo di sensore ottico nanobionico. La tecnologia è in grado di riconoscere efficacemente la presenza di metallo pesante nell’ambiente sotterraneo.

La ricerca, apparsa sulla rivista Advanced Materials, è stata condotta da Tedrick Thomaso Salim Lew, laureato presso il MIT, in collaborazione con Michael Strano, professore di ingegneria chimica e ricercatore del DiSTAP, Minkyung Park e Leslie Jianqiao Cui, entrambe laureate al MIT.

“Questo nuovo sensore potrebbe cambiare le regole del gioco, poiché non solo è più efficiente in termini di tempo, ma anche più preciso e più facile da implementare rispetto ai metodi precedenti.”

Professor Michael Strano

L’arsenico è una delle sostanze colpevoli di maggiore contaminazione di alimenti vegetali e colture. La recente scoperta potrebbe rinnovare e apportare migliorie sostanziali alle attività di monitoraggio e controllo. I metodi convenzionali di campionamento esigono tempo e apparecchiature specifiche, mentre i nanosensori del team SMART agiscono in tempo reale e con strumentazioni economiche quali la piattaforma Raspberry Pi.

I nuovi sensori vengono incorporati ai tessuti vegetali, senza che essi subiscano alcun danneggiamento dall’operazione. In questo modo le piante stesse diventano rilevatori autoalimentati di arsenico, segnalandone la presenza attraverso un diverso livello di fluorescenza della nanotecnologia integrata.

I nanosensori ottici hanno permesso di individuare la presenza dell’elemento tossico in riso e spinaci, ma possono essere impiegati anche con diversi tipi di piante. Utilizzando la felce Pteris cretica, specie ipersensibile all’arsenico, il team ha inoltre realizzato un rilevatore in grado di percepire concentrazioni molto basse della sostanza, fino a 0,2 parti per miliardo, laddove il limite regolamentare era di 10 parti per miliardo.

Il mondo agricolo diventa sempre più 4.0, già lo scorso aprile ci siamo occupati del tema con un trattando i dati dell’Osservatorio Smart Agrifood del Politecnico di Milano. Il metodo scoperto dal team di ricercatori di SMART arriva a coniugare in modo impeccabile i potenziali di natura e tecnologia, accostando alle modalità di estrazione delle radici i sensori delle nuove nanoparticelle.

Appare sempre più rilevante la necessità di tracciare gli alimenti per provenienza e qualità, in particolare per segnalare eventuali pericoli di contaminazione. L’arsenico, penetrando nei corsi d’acqua sotterranei e nelle colture alimentari, può a lungo termine causare problemi seri di salute, tra cui lesioni cutanee, tumori e patologie cardiovascolari.

Thomas Selim Law si aspetta che i vantaggi apportati alle rilevazioni dai nanosensori a base vegetale in termini di tempo, costi e manodopera ne garantiranno ampio e proficuo utilizzo in ambito agricolo così come in altri settori.

Dalla Washington University, il drone che fiuta gli odori

Un team di ricercatori dell’Università di Washington ha sviluppato un piccolissimo drone in grado non soltanto di evitare gli ostacoli che si trova davanti, ma anche di rilevare odori.

Come? Grazie alla Manduca Sexta, ovvero una falena. Sembra impossibile ma il progetto di ricerca di cui Melanie Anderson (studentessa di Dottorato in Ingegneria Meccanica) è autore principale, deve le sue capacità di rilevare odori proprio alla falena.

“Utilizzando una vera antenna di falena, con Smellicopter siamo in grado di ottenere il meglio da due mondi: la sensibilità di un organismo biologico e la possibilità di controllare il movimento di una piattaforma robotica.”

Le falene, infatti, riescono a rilevare con le proprie antenne la presenza di sostanze chimiche nell’ambiente e muoversi verso cibo o potenziali compagni. Unire tali potenzialità a un piccolo drone manovrabile e in grado di evitare gli ostacoli, rende gli sviluppi futuri ancor più promettenti.

A drone with an antenna being attached with tweezers

Ma vediamo come funziona, passo-passo. Gli insetti vengono anestetizzati nel frigorifero per poi procedere alla rimozione di una delle due antenne. Una volta prelevata, questa viene poi inserita su un piccolo drone quadricottero portatile e opensource e collegata a due piccoli fili a loro volta collegati ad un circuito elettrico.

Al drone, in grado di evitare ostacoli grazie a 4 sensori a infrarossi, sono poi state inserite due piccole ali di plastica sul retro in modo tale da creare resistenza e renderlo così funzionale anche nel vento.

Smellicopter è programmato per muoversi verso sinistra e verso destra fino ad individuare un odore ed andare quindi poi a dirigersi nella sua direzione. Non utilizza il GPS, bensì una fotocamera in modo molto simile a come gli insetti utilizzano i propri occhi.

Tutte queste particolarità lo rendono adatto all’esplorazione di spazi interni o sotterranei, a rilevare la presenza di sostanze chimiche nell’aria, per individuare sopravvissuti a disastri, fughe di gas, esplosivi, ecc.

I risultati sinora ottenuti sono stati pubblicati lo scorso ottobre sulla rivista IOP Bionspiration & Biomimetics.

Thomas Daniel, Professore di Biologia, coautore dell’articolo e co-supervisor della Dott.ssa Anderson, evidenzia come

“Le cellule in un’antenna di falena amplificano i segnali chimici. […]
Il processo derivante è così super efficiente, specifico e veloce”

Altri coautori del progetto sono Sawyer Fuller (Assistente Professore di Ingegneria Meccanica alla Università di Washington), Joseph Sullivan (studente di dottorato in ingegneria elettrica e informatica dell’UW), Timothy Horiuchi (Professore Associato di Ingegneria Elettrica e Informatica presso l’Università del Maryland).

La ricerca è stata finanziata dalla National Defence and Engineering Graduate Fellowship, la Washington Research Foundation, la Joan and Richard Komen Endowed Chair e infine l’Air Force Office of Scientific Research insieme all’Air Force Center of Excellence on Nature-Insired Flight Technologies and Ideas.

Chiavi inviolabili per la protezione dei nostri dispositivi

Speciali riconoscimenti per l’invenzione insubrica Random Power, nata nel 2018 da un progetto che si poneva come obiettivo quello di valorizzare l’impredicibile, mediante produzione di chiavi crittografiche inviolabili a supporto dell’intelligenza artificiale e della cyber-security.

Ha ottenuto molti consensi e riconoscimenti, sino a diventare parte di un progetto molto più grande: Attract, coordinato da prestigiosi laboratori internazionali, dove oltre all’Università degli Studi dell’Insubria, collaborano AGH University of Science and TechnologyNuclear InstrumentsQuantum Financial.

Il team di ricerca, guidato dal Professor Massimo Caccia, Fisico delle Particelle Subatomiche e docente di Fisica Sperimentale presso il Dipartimento di Scienza e Alta Tecnologia, ha infatti vinto il LIFTT Innovation Contest e il MITO Technology “PoC of the Year di Progress Tech Transfer”.

 

 

Grazie al progetto Random Power – il potere dell’impredicibile, è stato possibile sviluppare un generatore di bit casuali, ovvero un generatore di chiavi casuali che mira a divenire elemento di massima sicurezza per i dispositivi. Un sistema conveniente, robusto e di piccole dimensioni, implementabile nel settore dell’IoT, automobilistico e dei dispositivi mobili. Il generatore, oggetto di brevetto e di pubblicazioni scientifiche, si basa su di un dispositivo in silicio, che sfrutta le proprietà quantistiche dei semiconduttori per creare sequenze virtualmente infinite di bit 0 e 1.

Con tutti i vantaggi legati ai progressi della microelettronica, il progetto ha preso avvio dall’ingegnosità nel cercare di comprendere eventi casuali che influenzano la risposta dei rilevatori di luce più all’avanguardia, con un livello di sensibilità a singolo fotone.

Risultato sinora ottenuto, lo sviluppo di una scheda elettronica grande quanto una carta di credito. Prossimo step è cercare di ridurne le dimensioni sino a divenire un microchip collocabile nei dispositivi.

 

L’AI in prima linea nella diagnosi del COVID-19

Abbiamo in precedenti articoli parlato dell’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale in campo sanitario e dei suoi promettenti risvolti. Era del MIT il progetto che riusciva ad individuare i soggetti positivi al Coronavirus grazie all’AI e all’analisi del colpo di tosse.

Più vicine a noi, e più precisamente provenienti dalla Svizzera EPFL, arrivano ora due nuove ricerche. DeepBreath e DeepChest: la prima, più simile al progetto del MIT, esamina suoni respiratori, mentre la seconda, analizza immagini ecografiche polmonari.

Mary-Anne Hartley, medico ricercatore, alla guida del team di ricerca, ha lavorato sui due progetti, sviluppando nuovi algoritmi in grado di diagnosticare con precisione il COVID-19.

 

“Vogliamo creare strumenti solidi e affidabili, che vadano oltre questa pandemia. […] Speriamo che lo slancio continui e possa essere utilizzato per consentire un accesso equo all’assistenza sanitaria.”

Mary-Anne Hartley

 

DeepChest ha visto il coinvolgimento dell’Ospedale Universitario di Losanna: con la guida della Dottoressa Noémie Boillat-Blanco, si è proceduto dal 2019 ad oggi alla raccolta di migliaia di immagini ecografiche polmonari. Il progetto, infatti, nasceva per identificare i marcatori che meglio potevano distinguere tra una polmonite virale ed una batterica. Nel 2020 il focus si è spostato in parte, andando a centrarsi totalmente sul Coronavirus.

DeepBreathe invece ha coinvolto l’Ospedale dell’Università di Ginevra e il Professor Alain Gervaix, M.D., presidente del Dipartimento di donne, bambini e adolescenti, che dal 2017 ha raccolto il suono del respiro per la costruzione di uno stetoscopio digitale intelligente. “Pneumoscopio”: originariamente creato per la diagnosi della polmonite è stato nel 2020 “corretto” per il riconoscimento del Coronavirus. Le registrazioni hanno poi permesso a EPFL di sviluppare l’algoritmo DeepBreathe, che dai primi risultati, sembrerebbe in grado di rilevare anche COVID-19 asintomatico.

Attualmente si sta lavorando per sviluppare un’app per mobile che consenta agli algoritmi di poter funzionare anche su telefoni cellulari, anche nelle regioni più isolate. Contemporaneamente, e sempre nella stessa direzione, si procede al raccoglimento di ulteriori dati, provenienti da comunità sotto rappresentate, per l’estensione dell’utilizzo dei modelli anche nella distinzione tra polmonite virale e batterica, per la riduzione dell’uso di antibiotici e, soprattutto, per la riduzione dell’elevato numero di bambini vittime di polmonite nei contesti poveri.

 

La sicurezza sul lavoro si insegna con la realtà virtuale

Si occupa di realtà virtuale per la formazione in ambito della sicurezza sul lavoro una delle 5 start-up locali premiate dalla Camera di Commercio Como-Lecco con il voucher di Incubatore d’Impresa 2020.

Il bando dedicato al sostegno delle idee più innovative dell’anno è stato infatti vinto anche da 2045 Safety Training, realtà monzese artefice del primo software di realtà virtuale dedicato, appunto, alla formazione per la sicurezza sul luogo di lavoro.

Quello dell’incolumità dei lavoratori resta un problema delicato, sul quale è necessario non abbassare la guardia. Secondo i dati Eurostat relativi agli infortuni mortali sul lavoro rilevati in 30 paesi, l’Italia si trova soltanto al 20° posto, con un’incidenza di 2,25 ogni 100.000 occupati, nettamente superiore alla media europea di 1,77.

2045 Safety Training, situata presso l’Innovation Hub ComoNext di Lomazzo, propone un supporto didattico all’avanguardia in un panorama rimasto invariato per anni, permettendo ai professionisti della formazione di aggiornare i propri metodi e alle aziende stesse di offrire ai propri dipendenti percorsi performanti.

La società ideata dallo psicologo e formatore Matteo Massironi sfrutta la percezione sensoriale generata dalla realtà virtuale per garantire un percorso formativo molto più efficace.

Suscitando un maggiore coinvolgimento nei fruitori e permettendo loro di sperimentare le possibili situazioni a livello pratico, le simulazioni virtuali ne migliorano le capacità mnemoniche, così come la qualità del reperimento delle nozioni.

2045 Safety Training commercializza software di formazione ponti all’uso, ma realizza anche prodotti su misura, in funzione delle esigenze specifiche del cliente. La realtà virtuale permette di “vivere” diverse situazioni, dalla formazione base alla gestione delle emergenze, ricreando svariati scenari quali l’ufficio, la struttura sanitaria, il magazzino.

Progetto LAMPO per previsioni del tempo a breve termine

In un recente articolo, abbiamo trattato il tema delle previsioni meteo e di come queste possano avere importanti ripercussioni su ambiti differenti, quali la pianificazione del fabbisogno energetico.

Ma quali sarebbero gli effetti se ci aiutassero a prevedere forti piogge? Ad eliminare quindi imprevisti che possano minare la sicurezza delle persone? E se ci consentissero di fornire informazioni preziose per una crescita sostenibile in Africa?

Questi tre interrogativi hanno come denominatore comune l’elaborazione di dati GNSS (Global Navigation Satellite System) e sono affrontati in tre differenti progetti di ricerca, con tre focus specifici ma molti elementi comuni.

Tra questi, il Progetto LAMPO – Lombardy based Advanced Meteorological Predictions and Observations – lanciato nel 2018, si pone l’obiettivo di migliorare le previsioni a breve termine di piogge locali molto intense sull’area del Seveso, frequentemente oggetto di esondazioni.

Finanziato da Fondazione Cariplo, per una durata di 24 mesi, ha visto il coinvolgimento del Politecnico di Milano (Capofila) attraverso il laboratorio di Geomatica e Osservazione della Terra GEOlab, Arpa Lombardia, lo spin-off dell’Ateneo GReD e Fondazione Politecnico.

Peculiarità di LAMPO è quella di basarsi su un sistema di sensori e antenne GNSS a basso costo. L’elaborazione dei  dati, provenienti da tali sensori permette  di stimare la quantità di vapore acqueo nell’atmosfera e di identificarne gli accumuli per prevedere fenomeni atmosferici ormai noti come “bombe d’acqua”.

LAMPO utilizza le stime GNSS, insieme a osservazioni meteorologiche standard e osservazioni radar come input a un sistema di previsione a breve termine delle piogge basato su reti neurali.

Giovanna Venuti, Scientific Manager del Progetto LAMPO (Politecnico di Milano) evidenziava all’avvio dei lavori

 

“Speriamo che l’utilizzo di GNSS per applicazioni meteorologiche si possa diffondere in Italia ed all’estero così da creare maggiori sinergie e ottenere un sistema integrato ed efficace.”

Giovanna Venuti

 

A GReD (grazie anche alla collaborazione con GEOlab) si deve l’installazione dei sensori e lo sviluppo del software di elaborazione dei dati provenienti dal sistema satellitare GNSS. Tale sistema, mediante gli stessi segnali usati per la geo-localizzazione e la navigazione terrestre, sfrutta le informazioni raccolte da una rete di satelliti artificiali in orbita per misurare la quantità di vapore acqueo nell’atmosfera.

Generalmente, un punto a sfavore di questa tecnologia è il costo decisamente elevato dei sensori, ma è proprio fine ultimo del Progetto LAMPO quello di andare a sviluppare degli strumenti prototipali a basso costo. Sarà proprio grazie a questa riduzione della spesa che si potrà installare un numero maggiore di stazioni di misurazione, ottenendo di conseguenza una mappatura di dettaglio degli accumuli di vapore che possono dar luogo a “bombe d’acqua”.

Mentre il progetto LAMPO si avvia alla sua conclusione, Eugenio Realini, GNSS Geoscience Applications Manager di GReD, commenta:

 

“I risultati ottenuti da LAMPO sono senza dubbio molto positivi: non solo dimostrano l’utilità del GNSS come sensore utile a supporto delle previsioni di fenomeni di pioggia intensa, ma hanno anche avviato una collaborazione sinergica in questo ambito tra i mondi della ricerca, dell’impresa e delle agenzie regionali attive sul territorio.”

Eugenio Realini

Dagli insetti edibili di Alia Insect Farm proteine salutari e sostenibili

Gli insetti sono il cibo del futuro? Alia Insect Farm, start-up agro industriale nata a Milano nel 2020, scommette di sì. I suoi grilli Acheta domesticus rappresentano un’alternativa salubre e sostenibile agli allevamenti intensivi di carne per la produzione di proteine animali.

La realtà per il momento si rivolge ai mercati extra europei, in attesa dell’autorizzazione alla commercializzazione in suolo comunitario. Per la cultura italiana l’idea di ricavare nutrimento dagli insetti genera ancora una certa resistenza, eppure i vantaggi che ne deriverebbero sarebbero sostanziali, sia a livello nutrizionale che per l’impatto ambientale limitato.

Dai 6 miliardi di fine Novecento, si stima che entro il 2050 la popolazione mondiale possa arrivare ai 10 miliardi di abitanti. Il sostentamento di tante persone esigerà notevoli sforzi ambientali: per far fronte all’alimentazione umana e degli animali da allevamento le produzioni agricole dovranno subire un incremento sostanziale, a fronte di una situazione ecologica già precaria.

Un’alternativa al consumo di carne è rappresentata dall’entomofagia, dei cui benefici Alia Insect Farm si fa portavoce. L’azienda fondata da Carlotta Totaro Fila è tra le 5 start-up vincitrici del bando Incubatore d’Impresa 2020 assegnato dalla Camera di Commercio Como-Lecco. Insediata presso l’Innovation Hub di Como Next, la società seguirà per un anno un percorso assistito dedicato allo sviluppo imprenditoriale dell’idea innovativa.

ALIA in latino significa “qualcosa di diverso, di differente”, e difatti in Alia Insect Farm si alleva e si produce una nuova fonte di proteine sostenibili

Prodotti derivati da insetti quali pasta, snack o barrette energetiche, apportano benefici al consumatore. Si tratta di alimenti ricchi di proteine, vitamine B 12, ferro e calcio, nutrienti che, a differenza di quanto può accadere con le carni prodotte negli allevamenti intensivi, non contengono tracce degli ormoni e degli antibiotici somministrati agli animali.

Benefici al consumatore, ma anche all’ambiente: per la realizzazione di polvere di grilli serve pochissima frutta e verdura, mentre per produrre analoga quantità di carne sono necessari chili di mangimi.

Inoltre l’allevamento situato nell’Agrifood Park Blu Martesana di Truccazzano, Milano, è un sistema di vertical farming alimentato ad energia solare che impiega, per l’alimentazione degli insetti, mangime a KM 0.

Benessere, sostenibilità e filiera corta, ma anche tracciabilità: il prodotto di Alia Insect Farm viene infatti realizzato impiegando macchinari 4.0. Le tecnologie abilitanti IoT e la sensoristica avanzata garantiscono la trasparenza di rilevazione delle performance ambientali della start-up italiana, permettendo il monitoraggio di ogni singola fase produttiva.

Micro-robot in plastica e metallo stampati 3D

Avevamo parlato qualche tempo fa di micro-robot simili ad origami, che vantavano la capacità di piegarsi e ripiegarsi.

Quelli di cui tratteremo oggi, differiscono principalmente per la tecnologia utilizzata per produrli. Grazie all’esperienza del Professor Salvador Pané, unita alla collaborazione tra ricercatori appartenenti a differenti ambiti disciplinari (ingegneri elettrici, ingegneri meccanici, chimici e scienziati dei materiali), è stata utilizzata una tecnica di stampa 3D ad altissima precisione, in grado di produrre oggetti complessi a livello micrometrico.

Si tratta di una tecnica nota come litografia 3D, che consiste nel produrre una sorta di stampo costituito da minuscole scanalature che fungono da “negativo” e possono essere riempite da materiali selezionati, mediante deposizione elettrochimica. Lo “stampo” viene poi dissolto con l’utilizzo di solventi.

L’obiettivo a cui i ricercatori lavorano da anni, è la realizzazione di robot così piccoli da potersi muovere all’interno dei vasi sanguigni o di poter andare da un punto all’altro del corpo umano per somministrare un farmaco.

La combinazione di metalli e polimeri del micro-robot svizzero, in stretta connessione tra loro, consente di poter beneficiare delle proprietà dell’uno e dell’altro materiale. I polimeri, ad esempio, godono del vantaggio di poter essere utilizzati per la costruzione di componenti morbide e flessibili, così come per la costruzione di sezioni in grado di dissolversi all’interno del corpo. Se si incorporasse poi un farmaco in questo tipo di polimero solubile si potrebbe andare a somministrarlo in un punto ben determinato del corpo umano.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Communications, intende ora aprire a due nuove direzioni di indagine. Da un lato un perfezionamento di quanto realizzato, sino a giungere a micro-robot in grado di piegarsi, aprirsi e chiudersi in autonomia. Non più soltanto quindi andare a fornire farmaci in punti ben localizzati, ma anche, ad esempio, muoversi e poi procedere al trattamento di aneurismi o eseguire operazioni chirurgiche. Dall’altro lato, sugli stessi principi su cui si basano questi micro-robot, si vuole andare a realizzare stent in grado di aprirsi e posizionarsi in punti specifici.

Fonte
Alcântara CCJ, Landers FC, Kim S, De Marco C, Ahmed D, Nelson BJ, Pané S: Mechanically Interlocked 3D Multi-Material Micromachines, Nature Communications, 24 novembre 2020, doi: 10.1038 / s41467-020-19725-6