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YouCare, la maglietta smart con connessione 5G

Abbiamo più volte parlato di tecnologie indossabili: sempre più alta l’attenzione verso la possibilità di misurare e monitorare parametri biologici mediante dispositivi il più possibile integrati in oggetti del quotidiano.

Quello di cui tratteremo oggi, non solo è perfettamente inserito in un oggetto di tutti i giorni ma dispone anche di una connessione 5G. YouCare, questo il nome del prodotto, è una maglietta intelligente di ultimissima generazione.

Lanciata dalla cinese ZTE, fornitore cinese di sistemi di telecomunicazioni avanzati e dispositivi mobili e l’italiana AccYouRate, gruppo specializzato in prodotti indossabili altamente tecnologici, al Mobile World Congress 2021 che si è tenuto a Barcellona il 28 giugno, è frutto di 6 anni di collaborazione e analisi. Nel Team, oltre alle Università di Bologna e Cagliari, anche la Croce Rossa Italiana.

Un’invenzione che cambierà la vita e la qualità dell’assistenza sanitaria domiciliare e remota per molti cittadini con problemi di salute e persone vulnerabili affette da malattie croniche garantendo l’accessibilità ai servizi di cura e il supporto della nostra rete nazionale e internazionale

Queste le parole di Francesco Rocca, Presidente della Croce Rossa Italiana.

La maglietta Made in Italy dispone di sensori polimerici stampati direttamente nel tessuto risultando così invisibili ed anche impercettibili: non si vedono ma si danno da fare! Sono infatti in grado di registrare parametri biovitali mai rilevati prima da un semplice dispositivo indossabile. Può realizzare un vero e proprio elettrocardiogramma, raccogliere dati relativi al respiro, alla temperatura, ma anche dati sullo sforzo muscolare o sulla composizione del sudore.

E non solo, grazie a ZTE, è anche abilitata al 5G: tramite connessione quindi, è in grado di trasferire dati a uno smartphone, avvisando l’utente o anche i servizi per le emergenze.

Non effettua diagnosi, ma è capace di segnalare eventuali anomalie, è stata certificata come Medical Device ed è stata successivamente arricchita da algoritmi predittivi per i disturbi cardio-vascolari di BSP-Medical, società leader nel settore dell’Health Data Science.

Ovviamente la tecnologia stampata nel tessuto può essere utilizzata non soltanto per magliette: sono infatti attualmente oggetto di studio una manica intelligente aderente al braccio in grado di monitorare la qualità del sonno e i livelli di stress; un guanto in grado di monitorare l’attività muscolare e articolare, una soletta capace di evidenziare difetti di postura, una fascia che registra parametri precursori dello stress o ancora un polsino complementare alla smart t-shirt per migliorarne l’acquisizione dati. E non solo, è ora in vendita anche una mascherina intelligente in grado di rilevare stress oltre che livelli di inquinamento nell’aria.

Nessun dispositivo applicato, ma un polimero brevettato e certificato. Il risultato è una t-shirt IoT in cotone con una lavorazione in bio-ceramica, sensori direttamente integrati nella maglietta e a completamento una centralina che rileva dati, una micro SD per lo stoccaggio delle informazioni e una connessione bluetooth.

Prevenzione e soccorso, non soltanto per gli sportivi o i malati cronici, ma per la vita di tutti i giorni: una realtà quotidiana attualmente ad alta fascia di prezzo per ammortizzare i costi della ricerca, ma scalabile sino all’ingresso nel mercato dei consumatori in senso più ampio.

In arrivo un nuovo materiale ultraleggero e più resistente di acciaio e Kevlar

Leggerissimo ma resistentissimo: uno studio realizzato grazie ad una collaborazione tra ingegneri del MIT, del Caltech e dell’ETH di Zurigo ha dimostrato come i materiali “nanoarchitettati” possano rappresentare il futuro per la realizzazione di armature, rivestimenti protettivi o scudi anti-esplosione ultraleggeri e super resistenti.

Grazie all’utilizzo dell’ingegneria nanometrica sono riusciti a realizzare un materiale composto da montanti in carbonio in grado di conferire al prodotto finito elevatissimi livelli di robustezza fisica e meccanica senza andare ad aumentarne però il peso.

La stessa quantità di massa del nostro materiale risulta essere molto più efficiente nel fermare un proiettile rispetto alla stessa quantità di massa di Kevlar

Queste le parole di Carlos Portela, Assistant Professor di Ingegneria Meccanica al MIT, Responsabile del Progetto di Ricerca.

Il materiale è stato realizzato presso il Caltech tramite una tecnica che utilizza un laser ad alta potenza per solidificare le microstrutture in una resina fotosensibile, seguendo uno schema ripetuto a tetracaidecaedro: una nano architettura che gli conferisce resistenza alla flessione. Dopo aver modellato la struttura reticolare, la resina in eccesso è stata tolta e il materiale è stato inserito in un forno sottovuoto per la conversione del polimero in carbonio ultraleggero.

Per testare la resistenza del materiale ad impatti ad altissima velocità, il team di ingegneri del MIT ha poi utilizzato una tecnica per la creazione di impatti tramite particelle indotte da un laser, accelerate verso il bersaglio a velocità comprese tra i 40 e i 1.100 metri al secondo. 

Supersonico è qualcosa che si muove ad una velocità superiore a 340 metri al secondo, che è la velocità del suono nell’aria a livello del mare. Alcuni esperimenti da noi effettuati hanno raggiunto facilmente il doppio della velocità del suono.
                                                                            

spiega Carlos Portela. 

Realizzato in due densità differenti, tramite l’utilizzo di una telecamera ad alta velocità, il team ha potuto constatare che il materiale più denso era il più resistente dei due e le microparticelle tendevano ad incorporarsi nel materiale piuttosto che essere respinte. 

Il vantaggio di questo materiale consisterebbe proprio in questa capacità di assorbire molta energia andando a generare un meccanismo di compattazione degli urti dei montanti progettati su scala nanometrica.

Non solo: i ricercatori sono anche riusciti a prevedere la tipologia e l’intensità del danno che il materiale può sopportare.

Il materiale realizzato che ha uno spessore millimetrico, più sottile di un capello, grazie alla sua capacità di resistenza agli impatti e urti più elevata dell’acciaio, dell’alluminio o del Kevlar, offre innumerevoli possibilità applicative per il futuro, dalla difesa all’aerospazio. 

 

Per approfondire:

Portela, C. M., Edwards, B. W., Veysset, D., Sun Y., Nelson, K. A., Kochmann, D. M., Greer, J. R. (2021) Supersonic impact resilience of nanoarchitected carbon, Nature Materials, 24 June 2021, DOI https://doi.org/10.1038/s41563-021-01033-z

Il Politecnico di Torino per una viticoltura tecnologica, razionale e predittiva

Parlando di viticoltura, spesso si parla anche di previsione, una componente fondamentale per la gestione dell’intero processo produttivo. Dalle piccole imprese a conduzione famigliare, alle più grosse compagnie vitivinicole, molte sono le scelte strategiche prese al fine di ottimizzare tutti gli sforzi di produzione, in termini di quantità e qualità. Limitare gli effetti dei fattori biotici ed abiotici, sfruttare al meglio le potenzialità della vigna, prevedere nel dettaglio le condizioni meteorologiche, sono evidentemente tutte azioni necessarie. 

Le nuove tecnologie, consentono agli agricoltori in generale, ad ai viticoltori nello specifico, di disporre di informazioni scientifiche utili per monitorare ed ottimizzare l’intero processo di lavorazione: potenzialmente, un’agricoltura intelligente e tecnologica, rappresenta la migliore soluzione preventiva e conservativa. 

Molti strumenti che potrebbero indirizzare le scelte sopra citate, non sono ancora stati completamente tradotti in servizi utilizzabili dagli agricoltori. In più, le piccole e medie realtà produttive spesso si limitano – per mancanze di varia natura – a far affidamento unicamente alla loro esperienza, quando l’utilizzo di questi strumenti potrebbe quanto meno portare ad un risparmio energetico, idrico, e porterebbe velocemente alla riduzione dell’utilizzo di fitofarmaci. 

In questo contesto, si inserisce il progetto SISAV – Strumenti Integrati per la Sostenibilità Ambientale del Vigneto, coordinato dal Politecnico di Torino, con la collaborazione dell’Università di Torino ed alcuni consorzi vinicoli.

Scopo del progetto, inserito nell’ambito del Programma di Sviluppo Rurale FEASR, è quello di ottimizzare metodi e tecnologie, al fine di mappare, per ogni vigneto coinvolto, l’evoluzione delle variazioni micro meteorologiche, il cambiamento delle condizioni fitosanitarie, lo sviluppo della vegetazione, nell’arco dei tre anni di durata del progetto. Diciassette saranno le aziende pilota coinvolte direttamente, tutte guidate da giovani under 40.

Il Politecnico di Torino e l’Università di Torino mettono le proprie competenze in tema di ricerca e innovazione a disposizione delle aziende agricole, collaborando con esse alla definizione delle specifiche e alla sperimentazione sul campo, in un’azione corale che massimizza l’efficacia del trasferimento tecnologico 

Queste le parole del professor Daniele Trichero, coordinatore dell’intero progetto, e fondatore di iXem Labs del Dipartimento di Elettronica DET del Politecnico. Il laboratorio si occuperà della copertura ioT necessaria per il progetto, portandola anche nelle zone rurali più periferiche.

Il team di lavoro, nel corso del prossimo triennio di studio, cercherà una strada razionale e tecnologica indirizzata alla previsione: grazie a dati ed osservazioni, sperano di pronosticare attacchi di funghi, microrganismi ed insetti, nonché programmare in modo più efficace attività come irrigazione e concimazione. Grande attenzione sarà data alle evoluzioni micro climatiche, anche su scala sub-comunale, aspettandosi differenze fino a 10 gradi rispetto alle normali previsioni meteo ed una variazione di umidità fino al 40%.

Agricoltura 4.0: progetti smart dall’Università degli Studi di Milano

Artificial e Precision: queste le due parole chiave da cui prende avvio il Progetto MoWI.

Il progetto, premiato nell’ambito del programma Seed4Innovation dell’Università Statale di Milano, ha preso avvio da un precedente lavoro di ricerca. Stessa tecnologia, radicalmente differente applicazione: l’una impiegata in Agricoltura 4.0, l’altra è uno strumento innovativo nel campo della medicina di precisione.

MoWI origina infatti da Ariadne, un Progetto finalizzato alla previsione del rischio di metastasi nei pazienti cui è stato diagnosticato un tumore al seno. Il team di ricerca Oncolab, guidato dalla Professoressa Caterina La Porta docente di Patologia Generale insieme a Stefano Zapperi e Francesc Font-Clos ha introdotto una piattaforma basata su algoritmi. Tale piattaforma sarà commercializzata da Complexdata Srl, uno spin-off dell’Università degli Studi di Milano cui ha aderito un gruppo multidisciplinare di docenti.

Allo stesso modo, dalla precision medicine alla precision farming, MoWI risponde alla previsione di un rischio. In questo caso, il rischio è quello dell’attacco della pianta della vite da parte di un fungo, la peronospora. Dopo l’oidio e la fillossera, dagli anni ’80 mette a dura prova la produzione della Vitis vinifera, minando sia la quantità di produzione delle uve che la qualità del vino.

Unico rimedio preventivo venne identificato nella cosiddetta “poltiglia bordolese”, un trattamento a base di calce e solfato di rame, diluiti in acqua. Ovviamente non molto positiva la visione dei viticoltori, sempre più attenti alla riduzione dei trattamenti chimici e quindi sempre più restii ad effettuare manipolazioni sulla vite, ancor più se preventive, in assenza del fungo. Il crescente interesse per i vini biologici rende il viticoltore ancor più reticente: in questo contesto, l’Agricoltura 4.0 si fa strada come strumento di fondamentale rilevanza.

MoWI è una piattaforma che utilizza Intelligenza Artificiale e sensori integrati: una virtuosa combinazione che consente di identificare il rischio di attacco del fungo e andare ad intervenire molto precocemente.

 

 

“Grazie a MoWI il viticoltore può ridurre sempre più l’intervento chimico, andando ad avvicinarsi alle norme europee che puntano ad un’agricoltura sempre più sostenibile”

Queste le parole della Professoressa Caterina La Porta, CEO di Complexdata Srl. Il Progetto ha visto il coinvolgimento anche di Stefano Zapperi, Stefano Gomarasca, Stefano Bocchi, Paolo Boldi, Luigi Orsi, Franco Faoro dell’Università degli Studi di Milano, di Maria Chiara Lionetti e Maria Rita Fumagalli di Oncolab, di Maurizio David Baroni dell’Università degli Studi di Padova.

MoWI, che come accennato è stato premiato nell’ambito di Seed4Innovation, farà ora parte del programma di incubazione insieme ad altri interessanti progetti in ambito agricoltura smart: il Progetto ZanzaRaft che prevede la progettazione di “zattere” innovative, eco-compatibili e biodegradabili per l’eliminazione delle larve di zanzare nelle acque dove solitamente prolificano, e il Progetto Evo-Hand finalizzato a stimare il contenuto di olio e umidità dell’oliva in ottica di olivicoltura 4.0.

La premiazione è avvenuta nel corso dell’evento “Dalla conoscenza al futuro” organizzato dal UniMI Innova, l’hub dell’Università degli Studi di Milano dedicato all’Innovazione.

Rischio Cardiovascolare e algoritmi predittivi: rilevante il contributo insubrico

Avevamo precedentemente raccontato dello studio relativo ad un nuovo sistema di classificazione dei rischi futuri per i pazienti cardiopatici mediante l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale.

A differenza di quest’ultimo oltre al nettamente diverso approccio metodologico, il Progetto patrocinato dalla ESC (European Society of Cardiology) non va a concentrarsi sui soggetti che hanno subito un infarto in ottica di ottimizzazione delle cure. Al contrario, l’obiettivo della ricerca a cui hanno partecipato numerosi Paesi Europei mira a migliorare la predizione del rischio di malattie cardiovascolari su soggetti sani, senza alcun tipo di problema cardiaco.

Coordinata da due gruppi di lavoro, SCORE2 e SCORE2 Older Person, e realizzata in collaborazione con la Cardiovascular Risk Collaboration della ESC ha visto il coinvolgimento di 700.000 adulti e anziani distribuiti tra le diverse regioni europee. Con un’età compresa tra i 40 e i 69 anni e il possesso o meno di differenti fattori di rischio (fumatori e non fumatori, con diversi livelli di pressione sanguigna, diversi livelli di colesterolo, ecc) rappresenta un contributo scientificamente rilevante nella prevenzione primaria.

I risultati sono stati pubblicati sullo European Heart Journal ed è solo l’inizio: i modelli SCORE2 e SCORE2-OP verranno infatti inseriti nelle Linee guida Europee sulla prevenzione cardiovascolare, raccomandandone l’utilizzo. I due algoritmi offrono infatti un’accurata stima del rischio in diverse popolazioni andando ad identificare e classificare i Paesi europei in differenti livelli di rischio.

I nuovi algoritmi […] sono superiori ai loro predecessori in termini di accuratezza, generalizzabilità e validità, e potrebbero quindi avere un impatto sostanziale nel mondo reale, migliorando la prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari in tutta Europa.

Queste le parole del Professor Emanuele Di Angelantonio dell’Università di Cambridge.

Nel gruppo di ricerca, versante italiano, il Professor Giovanni Veronesi, la Professoressa Licia Iacoviello e il Professor Marco Ferrario del Centro Ricerche EPImediologia e MEDicina preventiva (EPIMED) dell’Università degli Studi dell’Insubria.

[…] Il nostro Paese ha dato un contributo scientificamente rilevante sul tema, iniziato venti anni fa con il Progetto CUORE, e continuato attraverso il costante aggiornamento dei modelli di rischio per renderli più accurati in sotto-popolazioni specifiche, quali i più giovani, le basse classi socio-economiche, e la popolazione lavorativa.

Decisivo dunque il contributo del Centro di Ricerca insubrico, caratterizzato da un elevato profilo internazionale oltre che da un approccio multidisciplinare che nell’analisi della predisposizione al rischio cardiovascolare fa davvero la differenza.

 

Per approfondire
SCORE2 working group and ESC Cardiovascular risk collaboration (2021), SCORE2 risk prediction algorithms: new models to estimate 10-years risk of cardiovalscular disease in Europe, European Heart Journal, ehab 309, https://doi.org/10.1093/eurheartj/ehab309 

Radar satellitari alla ricerca delle isole di plastica

Innovare, alle volte, significa anche trovare nuove applicazioni per tecnologie già esistenti. Di questo parleremo oggi, raccontandovi l’ultimo progetto seguito dal professor Christofer S. Ruf.

Ricercatore principale della missione CYGNSS – CYclone Global Navigation Satellite System della NASA, già nel 2016 aveva dato il suo fondamentale contributo nella ricerca di un nuovo approccio per la raccolta di dati, al fine di prevedere e comprendere meglio il fenomeno degli uragani. Per far questo, la NASA mandò in orbita otto micro satelliti, i quali, sfruttando la tecnologia GPS, riuscivano a registrare dati preziosissimi legati alla velocità dei venti oceanici. 

Qualche giorno fa, il professor Ruf – assieme alla studentessa Madeline C. Evans – ha pubblicato un documento intitolato “Towards the Detection and Imaging of Ocean Microplastics with a Spaceborn Radar”, nel quale si fa riferimento ad un nuovo utilizzo delle tecnologie e dei dati già esistenti per CYGNSS: individuare attraverso un radar le isole di micro plastiche oceaniche, fornendo una cronologia sul dove entrano in acqua, dove si spostano e perché.

Le misurazioni sulla velocità del vento effettuate con i radar satellitari in prossimità di uragani e cicloni, hanno permesso al team di Ruf di notare un’interessante alterazione dei rilevamenti causata dalla presenza di materiale galleggiante in superficie. Questo fenomeno non è però da ricondurre alle micro plastiche, quanto alle sostanze tensioattive, cioè composti oleosi o saponosi capaci di abbassare la tensione superficiale della acque. “Fortunatamente” plastiche e tensioattivi si raccolgono e viaggiano influenzati dagli stessi agenti, creando così agglomerati comuni di raccordo. 

Da queste prime osservazioni, Ruf decise di usare questi cambiamenti di reattività per testare l’ipotetica previsione di elementi galleggianti di scarto. Confrontando i dati raccolti all’interno di CYGNSS con le segnalazioni reali dei pescherecci a strascico – fino ad oggi gli agenti di tracciamento principali – il team ha potuto verificare l’effettiva validità dell’approccio testato. 

Dalle prime analisi, sono state anche osservate concentrazioni globali differenti di microplastiche in base alla stagione: ad esempio, tra i mesi di giugno e luglio, nell’emisfero settentrionale si ha una massiccia quantità di rifiuti nella zona di convergenza comunemente chiamata “great Pacific garbage patch”, un enorme accumulo di plastica galleggiante già identificato da anni. Mentre, nell’emisfero australe, le più grandi concentrazioni si verificano tra gennaio e febbraio. 

Siamo ancora all’inizio del processo di ricerca, ma spero che questa possa essere parte di un cambiamento fondamentale nel modo in cui tracciamo e gestiamo l’inquinamento da microplastiche

Gli intenti di Ruf, sono quelli di passare queste preziose informazioni alle organizzazioni che ripuliscono gli oceani, ottimizzandone così sforzi e risultati. Ma non solo: questo monitoraggio potrebbe essere preziosissimo anche in termini di prevenzione. Evidenti sono le immagini che descrivono come queste micro plastiche arrivano agli oceani, passando anche dalle foci… Primo fra tutti il fiume Yangtze (Shanghai), a lungo sospettato di essere una delle vie principali di scarico, ha registrato nei mesi di monitoraggio un discreto quantitativo di micro plastiche così rigettate negli oceani. 

Sono già partite le trattative tra i ricercatori e la famosa no-profit olandese The Ocean Cleanup.

 

Per approfondire:

Evans, M. C., Ruf, C. S., (2021) Toward the Detection and Imaging of Ocean Microplastics With a Spaceborne Radar, IEEE Transactions on Geoscience and Remote Sensing, pp. 1-9, doi: 10.1109/TGRS.2021.3081691.

Deep learning ed immagini: quali le applicazioni possibili?

Il prossimo 22 giugno, verrà presentato alla Conference on Computer Vision and Pattern Recognition un nuovo metodo di apprendimento profondo, messo a punto da un team di ricercatori della University of Washington, dedicato all’animazione automatica di singole immagini fotografiche.

La ricerca, finanziata oltre che dal UW Reality Lab, anche da Facebook, Google, Futurewai ed Amazon, si era prefissata lo scopo di creare animazioni partendo da un’immagine statica ed unica, senza alcun input esterno od aggiuntivo. Insomma, si voleva usare il deep learning per trasformare una foto… in un video. 

Nella fase attualmente raggiunta, la rete neurale addestrata riesce ad animare qualsiasi oggetto o materiale abbia un’evoluzione fluida, quindi nuvole, corsi d’acqua, colonne di fumo, cascate. Il sistema opera delle previsioni in base a come si muoverebbero realmente questi elementi, grazie alle informazioni acquisite direttamente dall’immagine di partenza. 

Gli scienziati hanno addestrato la rete mediante l’analisi di migliaia di video di panorami naturali, così che l’algoritmo potesse apprendere come eventuali increspature prevedono l’andamento di uno scroscio d’acqua o come le forme delle nubi preannunciano un loro dissolvimento. Il risultato finale è un breve video in alta definizione, che si ripete in loop, dando l’impressione di un morbido movimento infinito.

📸 – Sarah McQuate, University of Washington

I ricercatori, guidati dal dottorando Aleksander Hołyński, come prossimo step, puntano ad applicare queste animazioni alle persone, generando il movimento dei capelli che fluttuano al vento, l’oscillazione di un piede o un battito di ciglia. 

Sempre rimanendo nella sfera dell’apprendimento profondo, avevamo già parlato nello scorso mese di Marzo degli studi del Massachusetts Institute of Technology riguardanti la creazione di ologrammi 3D in tempo reale, sempre addestrando la rete neurale con grandi set di informazioni. 

Molte sono le ricerche attualmente in corso che vanno a concentrarsi sul miglioramento del fotorealisimo. Intel, per esempio, ha recentemente mostrato quanto possa essere efficace l’azione del machine learning su immagini digitali, prendendo in prestito le grafiche del famosissimo videogame Grand Theft Auto V. Sfruttando una rete neurale convoluzionale ispirata a processi biologici visivi ed utilizzando un grande database di immagini ad alta risoluzione di una cittadina tedesca, la rete è riuscita a sostituire in tempo reale i vari elementi scenici con quelli realistici, ottenendo un risultato sorprendente. 

Nanogold: ecco i sensori tattoo con nanoparticelle d’oro

L’idea di impiantare all’interno del corpo umano dei sensori, per trasmettere in tempo reale informazioni riguardanti lo stato vitale e la concentrazione di sostanze o farmaci, ha sempre affascinato il mondo della medicina e della scienza.

I sensori attualmente in uso però, non possono rimanere nell’organismo a lungo. Anzi, devono essere sostituiti dopo pochi giorni o dopo qualche settimana, principalmente per due motivi: da un lato il rischio di rigetto da parte del corpo e dall’altro la perdita via via di efficienza del sensore.

Gli scienziati della Johannes Gutenberg University Mainz (JGU) coordinati da Carsten Sönnichsen sono riusciti a sviluppare un tipo di sensore innovativo in grado di poter “soggiornare” nell’organismo per diversi mesi: il Nanogold.

Questo sensore si basa su nanoparticelle d’oro a colore stabile che vengono modificate con ricettori per molecole specifiche. Tali nanoparticelle, incorporate in un tessuto polimerico artificiale, vengono impiantate sotto la pelle per poter monitorare il cambiamento nella concentrazione di un farmaco attraverso il cambiamento di colorazione.

Il sensore è come un tatuaggio invisibile, non più grande di un centesimo e più sottile di un millimetro, e potrà essere usato nello sviluppo di farmaci o nella ricerca clinica

Carsten Sönnichsen, Coordinatore della Ricerca


Le nanoparticelle d’oro fungono da piccole antenne per la luce: la assorbono e la disperdono aumentando la luminosità
e, così, appaiono colorate. Per evitare che vengano poi degradate dalle cellule o che si muovano, vengono a loro volta inserite in un idrogel poroso con la consistenza simile ad un tessuto. Il risultato è una sorta di tatuaggio invisibile, che cambia colore soltanto per misurare alcuni parametri pre-definiti.

Test di laboratorio, hanno consentito di andare ad inserire Nanogold su cavie a cui sono state somministrate diverse tipologie di antibiotici. Le molecole del farmaco arrivano e si legano alla superficie del Nanogold andando ad indurre il cambiamento di colore, in base alla concentrazione del farmaco. Il sensore è rimasto in posizione ed operativo per diversi mesi, senza dover essere sostituito.

 

Per approfondire
Kaefer, K., Krüger, K., Schlapp, F., Uzun, H., Celiksoy, S., Flietel, B., Heimann, A., Schroeder, T., Kempski, O., Sönnichsen, C. (2021), Implantable Sensors Based on Gold Nanoparticles for Continuous Long-Term Concentration Monitoring in the Body, Nano Letters, 2021 21 (7), 3325-3330 DOI: 10.1021/acs.nanolett.1c00887

Bread Beer Lago di Como: un progetto di economia circolare

L’utilizzo del pane per produrre birra non è una novità, anzi, sembrerebbe risalire addirittura all’Antico Egitto.

Ma se nell’antichità rappresentava l’unica opzione possibile, diventa oggi invece scelta di responsabilità nei confronti dell’ambiente. Pubblicato sul portale Lombardia 2030 di Open Innovation che raccoglie tutti i progetti del territorio più interessanti in tema di realizzazione dei 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Agenda ONU 2030), il lavoro che Confcommercio Como sta realizzando insieme ai panificatori associati sembra raccogliere i suoi primi preziosissimi frutti.

L’Associazione dei commercianti comaschi, con il supporto della start up piemontese Biova Project che ha fatto della circolarità del pane per la creazione di birra il suo core, ha riunito panificatori, distributori di bevande, un birrificio locale, ma anche tutto il circuito di Confcommercio Como che conta (oltre a 59 panificatori) 295 strutture ricettive e 768 esercizi pubblici.

Ma non solo: in accompagnamento alla birra al pane, c’è l’originale idea di andare poi a coinvolgere anche gli allievi del Centro di Formazione Professionale nel proporre alcune ricette in abbinamento rigorosamente del territorio, per un Aperitivo del Lago di Como. Ne è nato un ricettario con tutte le indicazioni per la riproduzione dei piatti mediante l’utilizzo di ingredienti tipici del Lago dallo Zincarlin, alle cipolle di Brunate, dai Nocciolini di Canzo, al pesce di lago…

La prima produzione è andata letteralmente a ruba. 3.700 bottiglie da 33cl grazie a 74kg di pane rimesso in circolo che hanno consentito di evitare circa 700kg di CO2.

Come? Andando da un lato a ridare nuova vita a uno scarto alimentare che sarebbe altrimenti finito nei rifiuti e, dall’altro lato, riducendo del 30%-50% l’utilizzo del malto d’orzo. Meno sprechi, meno materie prime, per una birra al gusto pane leggermente salata che punta a contare 12.000 bottiglie per la metà del mese di giugno.

Con questa iniziativa non abbiamo la pretesa di risolvere il problema, ma di dare un contributo all’ambiente e un giusto riconoscimento al pane e al lavoro dei panettieri

Queste le parole di Graziano Moretti, Direttore di Confcommercio Como. Un’Associazione non nuova all’impegno per l’ambiente. Già in passato aveva infatti realizzato alcuni progetti di sensibilizzazione in ottica “impatto zero”, per la riduzione dei sacchetti di plastica, dei mozziconi nelle acque del nostro Lago, ecc.

Ferrarelle presenta la prima bottiglia realizzata con il 100% di plastica autoriciclata

Ferrarelle, una delle aziende leader italiane produttrici di acqua in bottiglia, è da sempre molto attenta alla spinosa questione del riciclaggio e smaltimento della plastica. 

In particolare, è l’unica azienda di acqua minerale italiana a possedere uno stabilimento per il riciclo di plastica, non solo proveniente dalle bottiglie Ferrarelle, ma anche da plastiche di altre tipologie ed origini. Grazie a questo stabilimento, realizzato ad hoc, l’azienda riesce a togliere dall’ambiente circa 20.000 tonnellate di plastica all’anno. 

Ferrarelle riesce così a produrre bottiglie composte al 50% da plastica riciclata (R-PET, ovvero PET riciclato) che utilizza per imbottigliare la propria acqua, ottenendo così una riduzione significativa dell’impatto ambientale rispetto all’utilizzo di plastica non riciclata.

In occasione della Giornata Mondiale per l’ambiente, l’azienda ha presentato grandi e nuovi passi avanti nella salvaguardia del pianeta: si chiama “INFINITA” ed è una bottiglia composta al 100% da PET riciclato.

INFINITA rappresenta allo stesso tempo sia un ulteriore traguardo di sostenibilità, sia nuovo punto di partenza per la nostra azienda che continuerà ad essere in prima linea nell’applicare i principi dell’Economia Circolare, investendo in innovazione di packaging e di processo, con focus nell’eco-design con l’obiettivo di aiutare i nostri consumatori a riciclare in maniera semplice le nostre bottiglie affinché abbiamo infinite nuove vite.

Michele Pontecorvo Ricciardi, Vicepresidente di Ferrarelle SpA

INFINITA deve dunque il suo nome alla possibilità di attivare modelli virtuosi di economia circolare nell’industria della acque in bottiglia: infinita riciclabilità della stessa bottiglia, in un’ottica di riciclo continuo. Una best practice da cui prendere decisamente spunto!

Il progetto si inserisce nell’ambito di bottle to bottle, iniziativa volta a sviluppare soluzioni di circolarità, realizzato anche grazie al supporto di INVITALIA e frutto di un investimento di 27 milioni di euro.