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Leonardo, procedure PBN di precisione con ENAV e Beamflight

Su Osservatorio Innovazione, abbiamo spesso parlato di droni: oggi invece, dedicheremo questo spazio ai loro fratelli più grandi, gli aeromobili.

È notizia di questi giorni, l’importante risultato ottenuto dall’elicottero AWHero prodotto dalla Compagnia Leonardo: l’ottenimento della certificazione militare basica, la prima al mondo per un aeromobile a monitoraggio remoto nella classe di peso dei 200 kg. 

Non solo: il modello risulta anche essere tra i possibili player selezionati per fornire alla Marina Australiana servizi di ricognizione, sorveglianza ed intelligence.

La Società compete sui più importanti mercati internazionali facendo leva sulla sua leadership tecnologica, l’unica in Europa in grado di fornire completi sistemi di pilotaggio remoto, progettando, sviluppando e integrando sensoristica, come stazioni di controllo, sistemi di missione, piattaforme. La continua ricerca di soluzioni all’avanguardia, ha permesso di sviluppare anche specifiche tecnologie per la gestione del traffico futuro di questi sistemi a pilotaggio autonomo e semi autonomo. 

Un altro punto di forza della Compagnia, oltre al grande impegno in R&S, risiede senza dubbio nella continua ricerca di partnership strategiche. Solo per citarne alcune, rimanendo sul nostro territorio nazionale, e all’interno della procedura PBN – Performance Based Navigation – nel corso dell’ultimo anno sono state tessute sinergie con ENAV – la Società che gestisce il traffico aereo civile – e con Beamflight, realtà comasca fondata nel 2016 da Luca Branca. 

ENAV e Leonardo, hanno testato e validato su aeromobili per il collegamento Foggia – Isola San Domino, nell’arcipelago delle Tremiti, un’avanzata avionica di bordo con navigazione satellitare di ultima generazione, contribuendo all’ottimizzazione su più fronti e all’efficientamento di questo spazio aereo. Superando quindi le più tradizionali radioassistenze per l’atterraggio, il sistema implementato garantisce una maggior sicurezza, soprattutto in caso di meteo avverso, riducendo allo stesso tempo impatto acustico ed emissioni inquinanti. 

E Leonardo continua la sua crescita nelle procedure PBN di precisione: assieme a Beamflight, l’intenzione dichiarata è quella di collaborare ad un’implementazione del Progetto ANGELS Advanced Next GEneration Landing System realizzato qualche anno fa con un contributo HORIZON 2020 EU, Funding for Research and Innovation.

Utilizzo di Droni per la qualità delle acque del territorio insubrico        

Abbiamo in precedenti articoli parlato dell’utilizzo dei droniun particolare focus sui promettenti risultati derivanti dall’introduzione in agricoltura per pratiche sempre più 4.0. A tal proposito parlammo anche della società comasca Aermatica3D recentemente ospite di Dronitaly 2021, dove ha visto la realizzazione di un intervento sul tema del monitoraggio ambientale da parte del suo General Manager Paolo Marras.

E proprio l’utilizzo dei droni per il monitoraggio ambientale è quanto in oggetto del Progetto che sarà a breve avviato nella Provincia di Varese. Più nel dettaglio, quella che verrà realizzata sarà un’indagine finalizzata alla mappatura degli scarichi nei fiumi Lambro e Olona. Un investimento da 150mila euro per realizzare una mappa georeferenziata dei corsi d’acqua mediante l’utilizzo dei droni.

L’idea del Progetto prende origine dal precedente BrianzaStream esteso poi in Seveso Stream. Partendo dunque dal tratto brianzolo del Fiume, si è deciso di proseguire lungo tutto il Seveso (primavera 2021) fino ad arrivare oggi al più ampio Progetto di estensione alla Provincia di Varese e all’intero territorio regionale.

Un Progetto sempre più ambizioso, frutto di un’intensa attività sperimentazione realizzata da BrianzAcque, che ha consentito di andare ad individuare circa 500 scarichi in 15 km di corso d’acqua (non tutti attivi, fortunatamente). Presentato in Regione è stato così dapprima esteso ad altri punti del Seveso grazie anche alla partecipazione di Regione Lombardia, l’agenzia Interregionale per il fiume Po, BrianzAcque, Como Acqua e il Gruppo CAP. Una fruttuosa collaborazione che ha cercato al meglio di combinare tecnologia, salute e sicurezza.

Più volte la tecnologia ha dato il suo contributo a migliorare la qualità dell’ambiente e della vita delle persone. Quello fluviale è un ecosistema fondamentale per la nostra sopravvivenza, troppo spesso messo in discussione dalle molteplici forme di inquinamento che lo caratterizzano. Con questo Progetto, grazie all’utilizzo dei droni si è potuto andare a caccia degli scarichi inquinanti fotografando dall’alto la situazione nei diversi punti del corso d’acqua. Seveso Stream ci rimanda al concetto di flusso d’acqua che una volta monitorato restituisce un insieme di dati ed elementi importanti per valutare lo stato delle acque

Queste le parole di Pietro Foroni, Assessore al Territorio e Protezione Civile di Regione Lombardia.

Non trascurabili le implicazioni per la sicurezza sul lavoro, considerando la ben più semplice raggiungibilità degli alvei dei fiumi da parte di un drone rispetto ad un operatore in carne ed ossa.

Un Progetto di concreta open innovation e di reciproco scambio tra operatori. Partito dalla Brianza, ha visto, come accennato, la sua estensione alle province di Milano e Como, cui seguirà ora Varese e l’intera Lombardia, con lo scopo di costruire un database geo-referenziato di tutti gli scarichi regionali, abusivi e non, andando a limitare le non trascurabili importanti ripercussioni che gli stessi scarichi esercitano sulle sempre più frequenti esondazioni e sugli allagamenti.

Coldiretti Varese investe in un futuro 4.0

Negli ultimi anni, l’attenzione in ricerca e sviluppo di Istituti ed Università Italiane si è spesso focalizzata sull’individuazione di specifiche soluzioni – rigorosamente tecnologiche – applicabili al settore agricoltura.

Il cambio generazionale all’interno delle Aziende, l’attenzione sempre maggiore del consumatore su provenienza e qualità del prodotto, le conseguenze dirette del cambiamento climatico sui raccolti, la necessità di preservare le caratteristiche uniche del nostro territorio, sono tutti aspetti che privilegiano l’accelerazione alla transizione digitale nel settore. 

Ad oggi, parlando nello specifico di tutti quegli investimenti legati direttamente all’attività sul campo agricolo, il settore rimane trainato da tecnologie che potremmo definire tradizionali, ovvero ancora legate direttamente alle macchine agricole – seppur afferenti al mondo dell’Internet of Thing. Giusto per avere qualche numero: solo l’8% degli investimenti è indirizzato a sistemi di monitoraggio da remoto delle coltivazioni, il 4% a soluzioni di mappatura del territorio, il 2% riguarda l’uso di robot per l’attività nel campo. 

Tutte queste ultime attività, sono oggetto continuo di sperimentazioni e perfezionamenti: alcuni esempi potete trovarli qui su Osservatorio Innovazione, passando dalla viticoltura di precisione, all’analisi remota real time delle piante di ulivo, sino alla messa a punto di strumenti capaci di prevedere l’evoluzione delle variazioni micro meteorologiche di un terreno o dei cambiamenti nelle condizioni fitosanitarie delle colture.

Quanto al territorio insubrico, Fernando Fiori, Presidente di Coldiretti Varese, ha recentemente parlato del come il settore agricolo italiano abbia bisogno di un approccio più moderno:

L’agricoltura di precisone è oramai sempre più ricercata dalle nuove generazioni, e in un futuro sempre più vicino, non si accontenterà più di satellitari sui trattori. [ … ]

La proroga per tre anni del programma Agricoltura 4.0 decisa nelle scorse settimane, risponde alle esigenze avanzate da Coldiretti per sostenere un settore che vale 450 milioni di euro e che può rappresentare un settore strategico per l’economia post Covid.

Il gruppo Coldiretti Varese, è da anni propenso all’utilizzo di nuove tecnologie nel settore, tanto che aveva già supportato la creazione dell’applicazione Demetra, un sistema integrato per la gestione online della propria Azienda agricola. Dati sullo stress idrico del terreno, informazioni meteorologiche accurate su temperature e rovesci, tutto direttamente via smartphone.

Le innovazioni tecnologiche offerte dall’agricoltura 4.0, spesso rischiano di non essere colte a causa dei ritardi nell’espansione della banda larga nelle zone interne e montane. Un pesante digital divide da colmare: nelle campagne le nuove tecnologie sono strumenti indispensabili per far esplodere le enormi risorse che il territorio può offrire, dai droni che verificano in volo lo stato delle colture ai sistemi informatizzati di sorveglianza per irrigazioni e fertilizzanti

Rimane tanto il lavoro da fare per diffondere capillarmente un nuovo modo di fare agricoltura.

Smart textile: l’evoluzione del tessile comasco

Abbiamo recentemente parlato di Smart Jacket, il gilet che previene gli incidenti sul lavoro sviluppato a Busto Arsizio, nell’ambito del Bando Fashiontech di Regione Lombardia. Lo stesso finanziamento che ha permesso la realizzazione del Progetto TRAME, tuttora in corso, che vede la comasca Top Digitex come impresa capofila e che mira alla tracciabilità nel tessile.

Intelligenza artificiale, IoT, Blockchain Technology, queste le principali tecnologie alla base dei Progetti appena ricordati.

Il tessile intelligente, o smart textile, è un tema che ci sta particolarmente a cuore, considerando lo storico orientamento delle PMI del territorio insubrico. Un settore tradizionale, il tessile, che dalla combinazione tra la tecnologia e l’innovazione, si evolve sempre più, raggiungendo traguardi sorprendenti.

A casa, al lavoro, mentre viaggiamo o mentre facciamo sport: siamo circondati da prodotti tessili con un elevato contenuto hi-tech, che aiutano a migliorare il nostro stile di vita

Queste le parole di Omar Maschi, PhD e Ricercatore del Centrocot (Centro Tessile Cotoniero e Abbigliamento) di Busto Arsizio.

 

Nel video alcuni esempi di smart textile. Fonte: Centrocot

 

Il Progetto di cui parleremo oggi, arriva invece da un po’ più lontano e, più precisamente, dalla Rice University. Sono i nanotubi in carbonio per il monitoraggio dei parametri vitali. 

La rilevazione di tali parametri non è certamente una novità: più volte abbiamo infatti raccontato Progetti simili sul nostro Osservatorio. La novità è che in questo caso il conduttore è un filo costituito da tre fasci di sette filamenti di nanotubi di carbonio, intrecciati sino ad ottenere un normale filato, inseribile nella macchina da cucire. Una fibra conduttiva quanto una fibra metallica ma decisamente più morbida, flessibile e soprattutto lavabile in lavatrice: queste le particolarità principali.

Lauren Taylor, autrice principale della Ricerca, insieme al Laboratorio della Brown School of Engineering guidato dall’ingegnere chimico e biomolecolare Matteo Pasquali, hanno cucito il filato sull’abbigliamento sportivo in modo tale da rilevare la frequenza cardiaca ed andare ad eseguire un elettrocardiogramma.

Niente smartwatch o fasce toraciche. Basta una semplice cucitura a zig zag su una maglia tecnica.

La maglietta deve essere aderente al corpo, per questo nei futuri studi andremo a concentrarci sull’utilizzo di patch con fili costituiti dai nanotubi di carbonio molto più concentrati

Il filo cucito su t-shirt può fungere da vero e proprio elettrodo a cui collegare dispositivi elettronici quali trasmettitori bluetooth per l’invio dei dati a uno smartphone o a uno schermo o, ancora, potrà essere in futuro dotato di antenne, protezione balistica, ecc.

 

 

Per approfondire:
Taylor, L., W., Williams, S., M., Yan, J., S., Dewey, O., S., Vitale, F., Pasquali, M. (2021), Washable, Sewable, All-Carbon Electrodes and Signal Wires for Electronic Clothing, Nano Lett. 2021, 21, 17, pp. 7093-7099, August 30, 2021. DOI https://doi.org/10.1021/acs.nanolett.1c01039

Reti neurali ed ambiziosi obiettivi di traduzione geroglifica

Sappiamo che le reti neurali convoluzionali, sono strumenti estremamente potenti: più volte, abbiamo descritto come il riconoscimento e l’analisi automatica di grandi set di immagini, possa raggiungere i fini più disparati. Dalla creazione di ologrammi 3D in tempo reale, alla messa a punto di speciali strumenti di diagnosi e prevenzione, l’uso delle pratiche di deep learning si sta profondamente affermando in qualsiasi ambito scientifico.

Ora, ha senso applicare le stesse metodologie di ricerca, anche alle scienze umanistiche? 

A tal proposito, avevamo già scritto del progetto Cultural Landscapes Scanner, dove i ricercatori dell’IIT – Istituto Italiano di Tecnologia puntavano ad identificare – utilizzando speciali algoritmi ed immagini satellitari – nuovi siti archeologici. Mentre tal intenzione presenta ancora molte criticità ed un lungo lavoro di ricerca e sviluppo, oggi parliamo delle più tangibili opportunità illustrate nella pubblicazione “A Deep Learning Approach to Ancient Egyptian Hieroglyphs Classification. 

Lo studio, frutto di una collaborazione tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Università degli Studi di Firenze e il Center for Ancient Mediterranean and Near Eastern Studies – CAMNES, descrive la concreta prospettiva di codifica, riconoscimento e traslitterazione dei segni geroglifici grazie all’addestramento puntuale di una rete neurale. Ad oggi, i ricercatori hanno testato la capacità del sistema di identificare e classificare singoli ideogrammi, ottenendo risultati estremamente promettenti, tanto da poter far sperare in una sua futura capacità di traduzione automatica. 

Tanta multidisciplinarità ha permesso lo sviluppo di questo progetto: primo autore dello studio pubblicato è Andrea Barucci, esperto analista di immagini biomediche con tecniche di machine e deep learning, collega della ricercatrice Costanza Cucci all’Istituto di Fisica Applicata IFAC-CNR. Dal Centro Studi CAMNES, ha partecipato l’egittologo e filologo Massimiliano Franci, mentre dal Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Firenze, Marco Loschiavo e Fabrizio Argenti:

Dal punto di vista ingegneristico eravamo sicuri delle potenzialità degli strumenti di analisi scelti, tuttavia questo era un banco di prova importante, essendo un tipo di applicazione completamente diverso. Abbiamo voluto esplorare un ambito di ricerca nuovo, che si è rivelato estremamente interessante e promettente.

Piante che emettono luce per un futuro green

La ricerca di soluzioni sostenibili ed ecocompatibili per migliorare lo stile di vita dell’uomo ma anche le emissioni e l’inquinamento del globo sono alla base degli studi odierni, anche in vista delle promesse fatte per l’ambiente con l’agenda 2030.

In questa direzione si muove un Progetto di ricerca del MIT, avviato nel 2017, i cui consecutivi step di indagine hanno dimostrato come utilizzando delle nanoparticelle speciali incorporate all’interno delle foglie delle piante, sia possibile renderle “luminose”.

Sono sufficienti soltanto 10 secondi di esposizione delle piante alla luce per consentirgli di rimanere illuminate per diversi minuti con possibilità di ricarica ripetuta. I più recenti sviluppi hanno consentito di andare via via a migliorare il risultato di ricerca, sino a far sì che le nuove piante possano ora produrre una luce 10 volte superiore alla versione precedente.

L’obiettivo era quello di creare una pianta emettitrice di luce grazie a delle particelle che la rendessero in grado di assorbirne dall’esterno, conservarne una parte e la ri-emettessero gradualmente verso l’esterno. Questo è un grande passo verso l’illuminazione a base vegetale

afferma Micheal Strano, professore di Ingegneria Chimica al MIT e Autore Senior del nuovo studio su questa tecnologia.

Per raggiungere il risultato, i Ricercatori, si serviti dello stesso meccanismo biologico che consente alle lucciole di brillare. Le nanoparticelle, infatti, sono composte di luciferasi e luciferina, l’enzima che permette alle lucciole di illuminarsi al buio. La fonte che fornisce alla luciferasi l’energia per illuminarsi è contenuta in un nocciolo di alluminato di stronzio rivestito di silice, che consente di proteggere la pianta dai danni. E sempre grazie a questo piccolo “condensatore”, il team di ricerca è riuscito non soltanto a farle emanare luce, ma anche ad assorbirla ed immagazzinarla per emetterla in modo graduale. 

Creare luce ambientale con l’energia chimica rinnovabile delle piante viventi è un’idea audace, rappresenta un cambiamento fondamentale nel modo in cui pensiamo alle piante viventi e all’energia elettrica per l’illuminazione

afferma Sheila Kennedy, professore di architettura al MIT, co-autrice del paper sulle piante luminose.

Le nanoparticelle si distribuiscono nel tessuto spugnoso delle foglie e vanno a creare un sottile film che non danneggia la pianta in modo tale da non interrompere la fotosintesi. 

Questa tecnologia è ancora in fase sperimentale e gli ingegneri stanno già studiando come aumentare la luminosità e l’autonomia delle piante con la combinazione sia delle nanoparticelle che del piccolo “condensatore”. Non si può escludere che tra qualche anno potremo illuminare strade e altro solamente grazie all’installazione di normalissime piante vegetali trattate. 

 

Per approfondire:
Gordiichuk, P., Coleman, S., Zhang, G., Kuehne, M., Lew, T. T. S., Park, M., Cui, J., Brooks, A. M., Hudson, K., Graziano, A. M., Marshall, D. J. M., Karsan, Z., Kennedy, S., Strano, M. S. (2021) Augmenting the living plant mesophyll into a photonic capacitor, Science Advances, Vol. 7, Issue 37, 8 sept 2021, DOI: 10.1126/sciadv.abe9733

Packaging e filigrane digitali: un nuovo approccio per lo smaltimento della plastica

Differenziare meglio i rifiuti è una delle sfide più urgenti nel raggiungimento di una vera economia circolare. Anche e soprattutto nel mondo del packaging, dove la plastica è ancora molto utilizzata, si sente concretamente l’esigenza di rivoluzionare il modo in cui gli imballaggi vengono gestiti nel post-consumo.

Sotto gli auspici dell’Associazione Europea dei Marchi, un gruppo di 80 entità tra aziende ed organizzazioni interne alla catena di valore degli imballaggi, tra il 2016 ed il 2019, avevano unito le forze con l’ambizioso obiettivo di sviluppare una tecnologia che potesse migliorare la selezione ed il tasso di riciclaggio per gli imballaggi all’interno dell’Unione Europea. Ad oggi, il gruppo è cresciuto a 130, ed il progetto Digital Watermarkes Initiative è arrivato alle sua versione 2.0, grazie anche al supporto dell’Alliance to End Plastic Waste ed al programma New Plastics Economy della Ellen MacArthur Foundation.

Grazie a questi anni investiti in ricerca e sviluppo, è stata selezionata tra tutte una tecnologia particolarmente promettente – quella delle filigrane digitali – e nel corso del prossimi mesi prenderà il via anche una sperimentazione pilota presso l’Amager Resource Center di Copenaghen, dove verranno effettuati test a livello industriale e dimostrazioni.

Le filigrane digitali sono speciali codici che possono ricoprire impercettibilmente le superfici di packaging e confezioni, sintetizzandone gli attributi specifici, quali produttore, SKU, tipologia di plastica utilizzata, composizione in caso di materiali multistrato, uso alimentare, e via dicendo. L’obiettivo è che, una volta entrata in un impianto di raccolta differenziata, questa filigrana possa essere rilevata e codificata da una telecamera ad alta risoluzione, la quale, in base agli attributi trasferiti, sia in grado di direzionare l’imballaggio nel flusso di smaltimento più idoneo. 

Uno smistamento più accurato, che di conseguenza si tradurrebbe anche in riciclati di qualità superiore a vantaggio dell’intera catena di settore. 

Il riciclaggio è un pilastro chiave su cui investire per promuovere un’economia circolare nei rifiuti di plastica. L’Alleanza è entusiasta di supportare il ridimensionamento di questo Progetto [ HolyGrail 2.0 ] nella sua prossima fase di avanzamento, in linea con la nostra missione di porre fine ai rifiuti di plastica

Ha affermato Jacob Duer, Presidente e CEO di Alliance to End Plastic Waste. 

Mentre i test continuano, sappiamo che ci saranno molte cose da risolvere lungo il percorso, ma con la forte collaborazione dei nostri partner del settore pubblico e privato, crediamo che lo smistamento intelligente possa essere una nuova frontiera che potrebbe aiutare a migliorare notevolmente la gestione della plastica

La sperimentazione ha preso il via nella città di Copenaghen, la quale ha l’ambizione politica di diventare la prima capitale mondiale ad emissioni zero entro il 2025. Il riciclaggio della plastica con alti standard, ne sostituirebbe la nuova produzione e ridurrebbe l’uso degli inceneritori cittadini.

HolyGrail 2.0 ha il potenziale per aiutarci a raggiungere questo obiettivo e non vediamo l’ora di far la nostra parte nella sperimentazione della tecnologia

Merete Kristoffersen, Head of Division – Waste And Resources, City of Copenaghen

E se la riabilitazione fosse un videogioco?

Sono sempre più numerosi i cosiddetti exergame, ovvero video-giochi che combinano il gioco in senso stretto, all’attività fisica. Utili per una società sempre più sedentaria, vantano ora a corredo una serie di strumenti complementari, da pedane a tappetini ad attrezzi o manopole.

In questa direzione, ma con fini decisamente differenti, si muove il Progetto CoCare, “A comprehensive concept for healthy aging supported by digital solutions across the geriatric Continuum-of-Care”. Responsabile è l’Ing. Maurizio Ferrarin, Direttore e Coordinatore di Ricerca del Polo Tecnologico della Fondazione Don Gnocchi: il Progetto è cofinanziato a livello nazionale dal Ministero della Salute e supportato dal programma “Active and Assisted Living” (AAL), il programma europeo che mira a sviluppare e diffondere tecnologie e innovazioni quali strumenti utili ad un invecchiamento attivo della popolazione.

In linea con AAL, l’obiettivo di CoCare è quello di andare a migliorare le funzioni fisiche e cognitive delle persone anziane mediante l’utilizzo della Realtà Virtuale. In via di sviluppo grazie alla collaborazione tra l’IRCCS, l’ETH di Zurigo e due realtà imprenditoriali, ovvero Agecare Limited (Cipro) e Dividat AG (Svizzera), si inserisce perfettamente nella mission della Fondazione Don Gnocchi che da anni cerca di offrire ai propri pazienti delle modalità riabilitative altamente innovative.

[…] Con gli anni il nostro impegno scientifico è cresciuto: il Ministero della Salute lo ha ufficialmente certificato e sostenuto tramite il riconoscimento di IRCCS (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) nel settore della medicina riabilitativa. […] La Fondazione da anni sta investendo in soluzioni di riabilitazione che vanno dalla riabilitazione robotica, alla teleriabilitazione cognitiva e neuromotoria e riabilitazione computer-assistita.

Ing. Maurizio Ferrarin, Responsabile del Progetto

In questo caso si tratta di una riabilitazione efficace ma anche decisamente sostenibile in termini economici: graverebbe infatti in maniera ridotta sul servizio sanitario nazionale.

Attualmente si basa sull’utilizzo della piattaforma Senso, sviluppata in precedenza dalla svizzera Dividat, azienda Coordinatrice del Progetto, costituita da uno schermo con il software di gioco e un pannello a pavimento in grado di misurare equilibrio, peso, spostamento del peso, passi, ecc.

In fase di studio e sviluppo è ora invece la prototipazione di SensoFlex che si differenzia dalla precedente in misura sostanziale nella sua parte hardware. Composta infatti non tanto da una rigida pedana quanto piuttosto da un leggero e flessibile “tappetino” con sensoristica integrata,  richiudibile, utilizzabile comodamente al domicilio dell’anziano, collegato ad un mini pc collegato alla tv di casa e controllato da remoto.

Sviluppato da un team multidiciplinare al cui interno si annoverano ingegneri, fisioterapisti e medici cerca di fornire una combinazione tra esercizio fisico ed esercizio cognitivo, coinvolgerà nella sua fase sperimentale 160 anziani: alcuni utilizzeranno CoCare, altri verranno al contrario sottoposti a fisioterapia tradizionale. Nell’ambito del Progetto saranno poi anche raccolte le impressioni su gradimento e usabilità da parte di persone anziane e operatori sanitari.

Il Polo Tecnologico della Fondazione Don Gnocchi, come accennato in precedenza, non è nuovo nell’attivazione di Progetti di sviluppo tecnologico. Attualmente sono attivi il Progetto FEAT (Functional Ergonomic and neuro-muscolar Assessment of TWIN-Acta), il Progetto MOTU (Il ruolo della protesi nella valutazione del rischio di caduta e della funzionalità motoria in pazienti con amputazione di arto inferiore. Uno studio di fattibilità osservazionale prospettico), ACTUAL (Active Exoskeleton for Unilaterally Assisted Locomotion) e infine FIT-FES (Adavanced development and engineering of MecFES – Myoelectrically Controlled Functional Electrical Strimulation).

Finestre intelligenti contro il riscaldamento globale

Secondo alcuni dati condivisi dai ricercatori tedeschi del gruppo Fraunhofer-Gesellschaft, circa il 30% delle emissioni di anidride carbonica in Germania, e quasi il 35% del consumo energetico totale, proviene dagli edifici. Sotto accusa, più degli altri, tutti quelli con grandi facciate in vetro, dove l’uso di tendaggi e persiane è impopolare a favore del design architettonico. 

Da un lato, le grandi finestre, soprattutto nei paesi del nord, aiutano a ridurre il fabbisogno energetico per il riscaldamento nei mesi invernali: nell’altro senso invece, spostandoci in regioni più meridionali e tenendo conto del fattore “riscaldamento globale”, le stesse vetrate portano ad aumentare significativamente la domanda di energia per raffreddare e condizionare gli ambienti interni.

Da questi presupposti, nel 2019 ha preso il via “Switch2Save: un ambizioso progetto che mira al superamento di queste problematiche mediante la messa a punto di speciali rivestimenti trasparenti per finestre e vetrate, in grado di gestire ed ottimizzare la gestione energetica dell’intero edificio grazie alla loro capacità di oscurarsi a seconda della temperatura e dell’irraggiamento solare. Il tutto è possibile grazie ad una combinazione di speciali pellicole elettrocromiche e termocromiche: le prime, richiedono solo una bassissima spinta elettrica per avviare il processo di colorazione, mentre le seconde reagiscono passivamente al calore generato dal sole. 

La struttura di una finestra con tecnologia Switch2Save: sono possibili versioni con rivestimento elettrocromico o termocromico, nonché una combinazione delle due tecnologie in un’unica finestra. | © Fraunhofer

Come si diceva, “Switch2Save” promette enormi risparmi energetici nelle zone dove le temperature esterne sono più alte: secondo il Dr. John Fahlteich, Coordinatore del Progetto e capo del gruppo di ricerca presso la sede Fraunhofer Institute for Organic Electronics, Electron Beam and Plasma Technology, nelle regioni calde d’Europa la tecnologia sviluppata potrebbe ridurre fino al 70% il fabbisogno di raffreddamento degli edifici moderni. Per via dei fattori sopracitati, il risparmio teorico si ridurrebbe nelle regioni più settentrionali, anche se il sistema potrebbe essere sviluppato perseguendo altri fini. 

Stiamo installando ora la tecnologia nella clinica pediatrica del secondo ospedale più grande della Grecia, ad Atene, e in un edificio di uffici a Uppsala, in Svezia. In entrambi gli edifici i consumi energetici verranno monitorati e confrontati per un intero anno, sia prima che dopo l’installazione delle nuove finestre. In questo modo, possiamo dimostrare le prestazioni reali, testare e perfezionare Switch2Save a seconda della zone d’installazione

I ricercatori non hanno solo perfezionato la tecnologia, ma anche tutte quelle problematiche legate ad una sua possibile fattibilità su scala industriale. Ulteriori obiettivi di ricerca includono l’adattamento del rivestimento alle forme in vetro curvo e l’aggiunta di più colori alle opzioni esistenti di blu e grigio.

Questo progetto ha ricevuto finanziamenti europei dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020: “Switch2Save” vorrebbe dare un contributo sostanziale agli obiettivi del Green Deal, il quale prevede un aumento della domanda di tecnologia edilizia efficiente per arrivare al traguardo zero emissioni entro il 2050. 

Da UniMI Sensori, IoT e Intelligenza Artificiale per l’Agricoltura 4.0

Abbiamo in precedenti articoli parlato delle ultime novità e dei trend del mercato in tema di Agricoltura 4.0.

Parlammo di MoWI, il progetto della Statale di Milano che mira, mediante l’utilizzo di sensori e intelligenza artificiale, a prevenire l’attacco della vite da parte della peronospora, un fungo che ne danneggia la qualità. Parlammo di Aermatica3D, l’interessante realtà comasca leader nello sviluppo di integrazioni tra droni e sensori ai fini della realizzazione di droni professionali da impiegare anche nel settore agricolo. Parlammo di Robot e Intelligenza artificiale nella serra verticale ideata da Plenty e molto altro.

Un settore, quello agricolo, sempre più tecnologico, in cui l’innovazione va di pari passo con livelli crescenti di efficienza e sostenibilità.

Parleremo oggi di due differenti progetti riconducibili a due differenti filiere: l’olio e il vino. Entrambi sviluppati dal Dipartimento Scienze Agrarie e Ambientali – Produzione, territorio e agroenergia dell’Università Statale di Milano, si chiamano Smart-hand e iGrape.

Il primo, vincitore di Seed4Innovation, il programma dell’Università Statale di Milano dedicato all’innovazione, è già un brevetto e sarà a breve disponibile per il lancio da parte dello spin off di Unimi FIND. Si tratta di un dispositivo il cui hardware è stampato 3D, mentre il software che si basa su un modello matematico, dispone di app intuitive, un servizio cloud per l’archiviazione e gestione dei dati. Lo strumento è in grado di effettuare delle analisi sulla pianta di ulivo e nel frantoio per poter valutare oggettivamente lo stato della pianta, delle olive, sino all’olio. Non solo consente dunque di valutare i livelli di umidità e maturazione per prendere decisioni sulla raccolta, ma permette anche di prevederne la qualità e determinarne il prezzo oltre che di ottimizzare tutta la logistica relativa al momento della trasformazione del prodotto.

iGrape invece è un progetto (il cui titolo completo è Integrated, Low-cost and Stand-Alone Micro-Optical System for Grape Maturation and Vine Hydric Stress Monitoring) afferente alla viticoltura di precisione. Grazie ad un lettore ottico è possibile analizzare il livello di maturazione del grappolo oltre alle eventuali necessità idriche della pianta; tali sensori, dotati di una batteria sostenibile a basso consumo, trasmettono poi in wireless dati a dei box posizionati ai pali del vigneto. Grazie a questo strumento è possibile individuare l’esatto momento in cui è possibile procedere alla vendemmia, ma anche andare ad agire in fase di maturazione in risposta alle necessità via via rilevate.

Il gruppo di ricerca è costituito da Riccardo Guidetti, Valentina Giovenza, Roberto Beghi, Alessio Tugnolo, Andrea Casson, Alessia Pampuri.