client-image
client-image
client-image
Home Blog Page 16

Nuove frontiere dell’Architettura: arrivano i Robot

È dell’Università di Princeton il merito di aver realizzato la prima opera architettonica che vedesse il coinvolgimento di due Robot.

L’Architetto Stefana Parascho e l’Ingegnere Sigrid Adriaenssens sono i docenti che hanno collaborato insieme allo studio di Architettura Ingegneria Skidmore, Owings e Merrill (SOM) con l’obiettivo di innescare un rapporto collaborativo tra umani e robot, con il principale fine di realizzare architetture splendide e sostenibili.

338 mattoni di vetro trasparente realizzati da Poesia Glass Studio e assemblati dai Robot senza l’utilizzo di alcuna impalcatura, ponteggio o struttura esterna di supporto. Un nuovo modo di costruire, più sostenibile grazie al minor spreco di materiale, più sicuro, senza dubbio anche meno usurante per l’uomo. I due robot hanno infatti potuto procedere nella costruzione di una volta alta più di 2 metri e larga (e lunga) oltre 3 metri e mezzo.

L’Architetto Parascho, direttore del CREATE Laboratory di Princeton (Calcolo e Robotica che Abilitano le Tecnologie per l’Architettura), precisa che non è sua intenzione sostituire l’uomo in queste complesse lavorazioni, ma utilizzare i robot per quei compiti altrimenti difficilmente attuabili. Un esempio: come potrebbe un uomo sorreggere un mattone di vetro da 3 kg per oltre 7 minuti, nell’attesa che la colla si asciughi e la struttura divenga stabile, senza compiere alcun movimento? Impossibile, ed è per questo che i robot accorrono in aiuto: per compiere movimenti tanto precisi quanto indubbiamente complessi.

 

 

Ma numerose sono le opportunità a cui la realizzazione di questo progetto apre le porte: la possibilità di andare ad operare in luoghi in cui sarebbe pericoloso lavorare o dove ne risulterebbe difficoltoso l’accesso, è solo un altro esempio, fornito da Alessandro Beghini, Direttore Associato e Ingegnere Strutturale presso SOM.

Edvard Bruun, PhD Candidate presso il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Princeton, evidenzia come il potenziale derivante dal coinvolgimento dei robot, consiste essenzialmente nell’aiutarci a raggiungere l’obiettivo della costruzione di edifici solidi ed efficienti, riducendo gli sprechi nei materiali.

Partendo dall’arco centrale, i due Robot hanno poi proceduto dall’esterno, ognuno da un lato della volta. Non pochi gli imprevisti: al di là della scarsità di tempo e di tutte le problematiche derivanti dal diffondersi del COVID-19, i primi test effettuati su materiali più leggeri hanno fatto sì che i primi test con i mattoni in vetro si concludessero con svariati vetri frantumati! Ma non sono mancate anche le constatazioni positive: come evidenzia Bruun, lavorare in modo tale da garantire in modo continuato il distanziamento sociale, ha ritrovato nei Robot validi strumenti per poter lavorare.

Il CREATE Lab sta ora lavorando ad una configurazione dei robot da remoto in modo tale da provare a garantire agli studenti e ai ricercatori di poter lavorare al progetto di ricerca anche da casa.

Il team di ricerca di Princeton è composto da Stefana Parascho, Sigrid Adriaenssens, Isla Xi Han, Edvard Bruun, Ian Ting, Lisa Ramsburg, Vittorio Paris e Nicola Lepora, con il supporto di Chase Galis, Lukas Fuhrimann, Grey Wartinger e Bill Tansley. Il Team SOM include Alessandro Beghini, Samantha Walker, Michael Cascio, David Horos, Mark Sarkisian, Masaaki Miki, Max Cooper, Stuart Marsh, Matteo Tavano, Dmitri Jajich e Arthur Sauvin. Il Progetto è stato condotto con il supporto di Faidra Oikonomopoulou, Telesilla Bristogianni della Delft University of Technology, e sponsorizzato da Global Robots, Poesia Glass e New Pig Corporation.

L’energia elettrica ora arriva dai vestiti!

LSC ovvero Concentratori Solari Luminescenti, nelle fibre tessili

Questo grazie alla realizzazione di un progetto di ricerca da parte dell’Empa, Centro di Ricerca Svizzero la cui vision è improntata sullo sviluppo di materiali e tecnologie per un futuro sostenibile.

Obiettivo molto ambizioso, che ha guidato il team interdisciplinare di Luciano Boesel del Laboratory for Biomimetic Membranes and Textiles, è stato quello di riuscire ad incorporare LSC ovvero Concentratori Solari Luminescenti, nelle fibre tessili.

Gli LSC sono pannelli in materiale plastico (quindi rigido) in grado di catturare la luce del sole e concentrarla sui bordi, dove piccole celle fotovoltaiche la convertono in energia elettrica. Capaci di produrre energia anche con scarsa luminosità sono facilmente integrabili in architettura, ma come introdurli nei tessuti?

Condizione necessaria era trovare un modo per rendere materiali simili agli LSC più flessibili ma anche più traspiranti: l’Empa vi è riuscita andando a progettare un nuovo materiale basato su co-reti polimeriche anfifiliche ovvero polimeri già noti e disponibili sul mercato per la produzione delle lenti a contatto, in silicone idrogel. A questo sono andati ad aggiungersi due diversi materiali luminescenti in modo tale da trasformarlo in un concentratore solare flessibile.

 

“Il motivo per cui abbiamo scelto esattamente questo polimero è il fatto che siamo in grado di incorporare due materiali luminescenti immiscibili su nanoscala e lasciarli interagire tra loro. Ci sono, ovviamente, altri polimeri, in cui questi materiali potrebbero essere integrati, ma questo porterebbe all’aggregazione e dunque la produzione di energia non sarebbe quindi possibile” 

 

spiega Boesel. Insieme a lui hanno collaborato anche il laboratorio Thin Films and Photovoltaics e il laboratorio Advanced Fibres.

L’inserimento di questo nuovo materiale all’interno delle fibre tessili per il confezionamento di vestiti, giacche, magliette, ecc, sarà in grado di soddisfare il bisogno continuo di energia elettrica. Dispositivi mobili ricaricati, senza l’ausilio di batterie esterne e portatili o senza l’estenuante ricerca di prese elettriche a cui attaccarsi.

Burberry: tecnologia gaming a supporto delle attività creative

Burberry ha recentemente reso nota la collaborazione con la digital agency inglese Koffeecup per la realizzazione di un software di progettazione innovativo ad uso della casa di moda londinese. L’applicazione, un progetto realizzato attraverso l’impiego della tecnologia gaming, permette di collocare in modo più rapido ed efficiente le stampe sui capi di abbigliamento durante la fase di progettazione.

Il programma messo a punto dalle due società permette il posizionamento immediato di una stampa bidimensionale sul modello di un prodotto realizzato in 3D. In questo modo la definizione di un capo di abbigliamento avverrà in tempo reale e il prodotto finito sarà fruibile direttamente, e istantaneamente, da schermo.

L’idea di Burberry e Koffecup garantisce un processo creativo fluido e la realizzazione di campionari sostenibili: imitando la frequenza delle interazioni l’applicazione ha infatti permesso l’eliminazione degli sprechi e ridotto di due terzi il fabbisogno e consumo di carta solitamente impiegata nella progettazione.

Mark Morris, Senior Vice President of Digital Commerce di Burberry, e Thomas Michelou, Managing Director di Koffeecup, hanno reso dichiarazione sull’efficacia del progetto, evidenziando i risultati soddisfacenti dell’applicazione delle evoluzioni tecnologiche del settore gaming al fashion e aprendo un varco sulla possibilità di ulteriori futuri sviluppi. 

Le sperimentazioni tecnologiche di Burberry non si limitano alla progettazione 3D e alla tecnologia gaming, il team sviluppo del brand oltre al recente progetto ha realizzato due videogiochi, ma vertono anche sugli ambiti di blockchain e realtà aumentata: come la collaborazione con IBM per lo sviluppo di un sistema di tracciabilità e la realizzazione di prodotti virtuali reperibili attraverso la Ricerca Google per i mercati inglese e americano.

Arriva FutureCraft.Strung, la scarpa Adidas 4D attesa per fine 2021!

Creata da FUTURECRAFT, incubatore di innovazione e tecnologia di Adidas, si chiama FutureCraft.Strung.

Al momento solo in forma prototipale, si prevede potrà essere disponibile sul mercato tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022.

Di cosa si tratta?  È la prima scarpa costruita sulla base di dati raccolti da chi la utilizzerà: perché ogni piede è asimmetrico, complesso, non si muove né contrae in modo uniforme né tantomeno univoco. Per questo motivo Adidas ha voluto progettare una scarpa sportiva unica nel suo genere, che si adattasse perfettamente alle esigenze dell’utilizzatore: una scarpa che fosse in grado di utilizzare i movimenti del piede fungendo da leva ed amplificandone la forza.

FutureCraft.Strung, attualmente ancora in fase di test e miglioramento, è il frutto dell’analisi dei dati raccolti in due anni, dai piedi di due atleti selezionati da Adidas, oltre che del lavoro sinergico di una squadra di ingegneri, designer, scienziati sportivi, ecc.

Per la realizzazione di una scarpa simile, era necessario costruire un robot che riuscisse a posizionare i filati in qualsiasi direzione. Ne è nato Strung, un processo di produzione tessile unico, mai visto prima, che posiziona fibre l’una sull’altra fino a creare una tomaia monopezzo.

FutureCraft.Strung è avvolgente e leggera, priva di cuciture, realizzata riducendo al minimo lo scarto di materiale. I fili rossi più rigidi e resistenti, sono situati nella parte centrale del piede, sulla punta e nel tallone, mentre i fili gialli, nell’avampiede, forniscono un maggiore livello di flessibilità.

Gli atleti, indossandola, possono inviare feedback continui che consentano di dare un concreto supporto allo sviluppo della scarpa, contribuendo al suo miglioramento e adattamento, passo dopo passo. L’obiettivo è giungere all’adeguamento della calzatura anche ad altri sport.

 

Si menzionano tra i designer, ingegneri, scienziati dello sport, dei materiali, ecc che hanno collaborato e collaborano al progetto: Andrea Nieto, Fionn Corcoran-Tadd, Matteo Padovani, Benjamin Kleiman, Elise Hall e Thomas Feix, Clemens Dyckmans, James Tarrier e Nicholas Groeneweg, Ian Hennebery, Fano Razafindrakoto, Reuben Bligh e Korbinian Berner, Tom Elvidge, Grace Chang, Steve Brimble, Miriam Eirich, Christoph Walter, Mario Pörner, Clemens Weisshaar e Reed Kram.

E allora MAMBO! La prima barca stampata in 3D, tutta Made in Italy

Grazie a robot e materiali compositi avanzati, è stata per la prima volta letteralmente “stampata” una barca. La tecnologia innovativa da cui Mambo è nata, consente infatti di stampare in 3D oggetti forti, unici, dalle forme, dimensioni e prestazioni senza precedenti: mai più stampi, vincoli di tempo o design tradizionali!

Brevettata dalla Spin Off del Politecnico di Milano Moi Composites, si chiama CFM, che sta per Continuous Fiber Manufacturing e consente di stampare in 3D materiali compositi con prestazioni meccaniche e libertà formali mai viste!

Si parte da un disegno digitale per poi far procedere nella lavorazione due robot KUKA Quantec High Accuracy che instancabilmente, senza modelli o stampi o simili, stampano le diverse sezioni che compongono lo scafo, mediante fibre continue impregnate di resina reticolabile. Il risultato è un pezzo unico, di elevatissimo livello e altamente personalizzabile. Lungo 6,5 metri, pesa 800 kg e dotata di un fuoribordo da 115cv: completano l’opera divanetti in pelle, deck in sughero che contribuiscono a rendere Mambo non solo digitale e tecnologica ma anche sartoriale e artigianale.

Partner nella realizzazione del progetto sono un gruppo di esperti internazionali nel campo software, automazione, materiali compositi e industria nautica: Autodesk, Catmarine, Confindustria Nautica, Mercury Marine, MICAD, Osculati e Owens Corning.

Looop: il macchinario che ricicla abiti all’istante!

Da oggi, nel punto vendita H&M di Drottninggatan, nel centro di Stoccolma, è possibile scoprire Looop. Un innovativo macchinario che consente di riciclare i propri vestiti ormai dismessi.

Il macchinario, realizzato in partnership da H&M Foundation, l’istituto di ricerca tessile di Honk Kong HKRITA (The Hong Kong Research Institute of Textiles and Apparel) e l’azienda Novetex Textiles, consente di rigenerare un capo d’abbigliamento in poche ore, senza l’aggiunta di prodotti chimici.

Il processo, altamente educativo considerando il messaggio sostenibile e di economia circolare sottostante, prevede l’inserimento in Looop del capo usato, che verrà lavato, sminuzzato in fibre che saranno poi filtrate e cardate per dare vita ad un nuovo filato. Per rinforzarlo verranno ad esso aggiunte altre fibre di natura sostenibile, per poter poi essere confezionato il nuovo abito.

Il macchinario si trova da oggi in una sorta di scatola di vetro, per dare maggiore visibilità possibile a chi passeggerà per il centro di Stoccolma: il coinvolgimento dei Clienti, secondo Pascal Brun, Responsabile dello sviluppo durevole di H&M, è fondamentale per innescare un cambiamento concreto.

Attualmente l’utilizzo di Looop costa 150 corone svedesi, pari a 14,40 euro (100 corone, ovvero 9,60 euro, per i possessori della tessera soci H&M) I ricavi saranno reinvestiti in progetti di ricerca sulla sostenibilità dei materiali.

Non sappiamo al momento se sarà possibile provare il macchinario anche nella nostra penisola: quel che al sappiamo è che sicuramente verrà utilizzato anche da altre catene di moda.

Quando la tecnologia blockchain è fashion

Quello della sostenibilità nel settore moda è un tema scottante, trattato con sempre maggiore frequenza. A Burberry, nota casa di moda londinese, l’argomento è caro: ne è dimostrazione il sostegno offerto agli studenti del programma di internship IBM nella realizzazione di un prototipo di tracciabilità con la tecnologia blockchain.

Il programma stage Extreme Blue di IBM, attivo da più di 20 anni e presente in 10 paesi nel mondo, quest’anno era dedicato proprio al tema “Sustainability in Fashion”. Gli studenti partecipanti, con il compito di sviluppare un prodotto innovativo, hanno realizzato Voyage, un prototipo atto a migliorare la tracciabilità in ambito moda.

La risorsa, progettata per la funzionalità dell’applicazione mobile della casa di moda, è sviluppata con l’impiego di IBM Public Cloud e la piattaforma IBM Blockchain. L’identificazione del singolo capo avviene attraverso tag NFC o ID prodotto. Voyage fornisce all’utente informazioni approfondite sul ciclo di vita del prodotto e consente all’utente di impostare le proprie preferenze in tema di sostenibilità.

Il problema dell’impatto ambientale e sociale è ormai prioritario nell’ambito del fashion & textile: sempre più aziende sono impegnate in progetti orientati alla diffusione di comportamenti consapevoli, in particolare in funzione della tracciabilità del prodotto, delle materie prime componenti, del ciclo produttivo o di quello vitale del capo. Ne è ulteriore esempio il caso di cui abbiamo parlato in questo articolo.

Il prototipo sviluppato dagli studenti IBM con la tecnologia blockchain permette anche ai clienti di aggiungere informazioni sul ciclo di vita dei capi. Possono essere inserite indicazioni in caso di riciclaggio o upcycling, ad esempio. Si tratta di una funzionalità ottimale per sensibilizzare l’utenza sul potenziale di ciascun acquisto e sulla possibilità di dare ad esso una seconda vita.

Mono Air Houdi e Circolarità opensource, quando l’innovazione vuole essere condivisa

Houdini (brand outdoor, pioniere della moda sostenibile) in collaborazione con Polartec ® (leader nella produzione di soluzioni tessili innovative) ha rilasciato sul mercato Mono Air Houdi.

Presentato a gennaio e insignito del premio ISPO Gold Award, focus del progetto è la realizzazione dell’innovativo tessuto Polartec ® Power Air ™, un tessuto che consente la riduzione della dispersione di microfibre di ben l’80%. Rappresenta, secondo Steve Layton, Presidente di Polartec ®, un passo avanti sostanziale nella riduzione dell’impatto ambientale di quel che decidiamo di indossare. Si tratta infatti di poliestere riciclato, interamente riciclabile, monomateriale e caratterizzato da una struttura multistrato al cui interno è incapsulata aria per trattenere il calore e ridurre la dispersione della microfibra.

Disponibile sul mercato dalla metà del corrente mese di ottobre, è utilizzato per la produzione di una giacca: il risultato è un prodotto altamente funzionale e sostenibile, leggero e stretch, traspirante e termicamente isolante, ottimo per l’attività sportiva outdoor in montagna.

Come accennato, il progetto è disponibile e liberamente scaricabile, per consentire di apprendere non solo tutti i principi alla base della moda circolare, ma anche tutte le componenti del capo, approfondendo più nello specifico la tecnologia del tessuto. Obiettivo principale, dice Jesper Danielsson, Responsabile del Dipartimento Design e Innovazione di Houdini, non è ovviamente la produzione di una serie di capi in Polartec ® Power Air ™, ma la condivisione del concetto di circolarità nell’ottica di darne maggiore visibilità e sperare in una sempre più ampia diffusione.

La visione di un mondo waste free ha guidato il Progetto Mono Air che nato da un’idea di cambiamento mira a rendere più sostenibile il mondo della moda. Per Eva Karlsson, CEO di Houdini, non rappresenta la soluzione del problema ma sicuramente l’innesco di un cambio visione esportabile anche ad altri settori.

Dalla fibra di latte al tessuto in fibra di legno

tessuto in fibra di legno

Torniamo a citare la startup tutta italiana Good sustainable mood. Questa interessante realtà, di cui abbiamo trattato recentemente a proposito della sua innovativa fibra creata dagli scarti del latte, fa di nuovo parlare di sé. Si tratta questa volta di una realizzazione con tessuto in Fibra di Legno di Faggio, una fibra tessile morbida e luminosa.  Attraverso un trattamento esclusivo, nasce un tessuto all’insegna della sostenibilità, della qualità e della resistenza.

In un precedente articolo sulle alternative alla pelle animale, 100% vegan (alcune foto dei prodotti si possono trovare a questo link), avevamo appreso come dal legno si potesse ricavare anche un tessuto simile alla pelle, per la realizzazione di accessori moda.

In questo caso, si tratta invece di un tessuto in fibra di legno assorbente ma resistente, traspirante come il lino e delicato come la seta.

ECOVERO ™ certifica i tessuti in fibra di legno

La materia prima viene estratta da foreste certificate e gestite responsabilmente, in coerenza con gli obiettivi etici e sostenibili che caratterizzano Good sustainable mood. A conferma di ciò, la certificazione ECOVERO™ di cui la Fibra di Legno di Faggio è dotata.

Già in fase di produzione, uno strutturato sistema di tracciamento consente di identificare nel prodotto finale le fibre a marchio LENZING ™ ECOVERO ™, anche in seguito a numerose fasi di lavorazione e conversione tessile, lungo tutta la catena del valore. In questo modo i consumatori vedranno i loro prodotti garantiti con viscosa eco-responsabile certificata LENZING ™ ECOVERO ™.

Con CircularID™ ogni indumento ha la sua carta d’identità digitale

La piattaforma IoT per il fashion Eon in partnership con Microsoft, H&M, Accenture, Waste Management e diverse altre realtà, sta lavorando allo sviluppo di un protocollo di linguaggio standard per definire e rendere accessibili informazioni sui prodotti di abbigliamento, attribuite non a un brand, non a una tipologia di prodotto, ma al singolo articolo.

Il progetto CircularID™ nasce nel 2018: un servizio che fornisce a ciascun capo di abbigliamento un’identità digitale specifica che lo accompagnerà per il suo intero ciclo vitale. Non solo indicazioni standard quali brand, prezzo e composizione dei materiali, ma anche una serie di dati aggiuntivi, atti a definire la storia del prodotto stesso: dalla tipologia e modalità di tintura ai dati di noleggio, dalle informazioni sugli store responsabili delle precedenti vendite alle indicazioni sul riciclo degli articoli rigenerati.

Attualmente è in sperimentazione la versione pilota del progetto di Eon che condurrà al lancio di CircularID™ nel 2021. Natasha Franck ha fondato la piattaforma IoT nel 2015 con l’intento di facilitare un nuovo modello di business, basato sull’economia circolare. La ricerca di modalità commerciali alternative al fast fashion che si caratterizzino come sostenibili per l’ambiente, la società e l’economia è una sfida percepita sempre più come focale nei settori di moda e retail, abbiamo trattato il tema anche qui.

Il linguaggio condiviso dal protocollo in sperimentazione permette di digitalizzare i prodotti e di connettere le identità digitali al capo fisico attraverso identificatori quali QR, RFID, NFC e Bluetooth LE. Tutte le informazioni archiviate contribuiscono a dare valore dell’indumento stesso e sono fruibili non solo dagli addetti ai lavori, come già in parte avviene, ma soprattutto dai clienti, il cui grado di coinvolgimento risulta sempre maggiore, a vantaggio delle relazioni di fedeltà con brand o store di riferimento.

CircularID™ vuole proporsi come linguaggio standard di un modello commerciale di economia circolare che faccia del riuso e della sostenibilità non soltanto un vantaggio per l’ambiente, ma anche una nuova possibilità di commercio. Il protocollo potrebbe condurre i brand a produrre capi più duraturi, a prevedere il riuso dei prodotti in circolazione, a sviluppare business basati sui servizi più che sui prodotti stessi e, per effetto della trasparenza esibita, a definire il migliore valore economico in caso di rivendita e gestione dell’usato.