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Stop infortuni sul lavoro grazie ai Robot umanoidi

Avrà una durata triennale, con un investimento pari a 5 milioni di euro.
Obiettivi principali? Incrementare salute e sicurezza, prevenire gli incidenti ma anche gli errori causati dalla stanchezza o dallo stress in ambienti di lavoro differenti.

Si chiama “ergoCub”: ergo sta per ergonomia, mentre Cub si riferisce a iCub, il robot umanoide bambino sviluppato dall’Istituto Italiano di Tecnologia che costituirà la piattaforma di riferimento del progetto. IoT e robot collaborativi: elementi fondamentali per agevolare il lavoro in ottica Industria 4.0.

Insieme ad Inail, l’Istituto Italiano di Tecnologia contribuirà con tre laboratori di ricerca: il Dynamic Interaction Control Lab coordinato da Daniele Pucci (Responsabile di Progetto), l’Humanoid Sensing and Perception Lab coordinato da Lorenzo Natale e iCub Tech Facility coordinato da Marco Maggiali.

«Non si tratta di un punto di partenza, ma della nuova tappa del percorso avviato anni fa con IIT […] Il mondo del lavoro è cambiato profondamente […] Con progetti come questo cerchiamo di creare le condizioni per mettere a disposizione dei lavoratori e del sistema produttivo i risultati di un’attività di ricerca che sia in linea con l’evoluzione tecnologica e possa sempre contribuire a migliorare la vita delle persone»

Queste le parole del Presidente dell’Inail, Franco Bettoni. L’Inail non è nuovo all’attivazione di progetti di innovazione tecnologica: importanti risultati erano derivati infatti dal Progetto AnDy (Advancing Anticipatory Behaviors in Dynamic Human-Robot Collaboration), di cui era partner, finanziato dall’Unione Europea e coordinato dall’IIT. Il risultato ottenuto era stato una tuta sensorizzata in grado di andare ad analizzare sforzi e sovraccarichi per le articolazioni al fine di prevenire rischi ed infortuni sul lavoro.

AnDy costituirà un punto di partenza: altre tecnologie indossabili saranno infatti sviluppate. Non invasive, ma in grado di rilevare differenti parametri e valutare lo stato psico-fisico del lavoratore. Una sorta di “seconda pelle intelligente” che misurerà il battito cardiaco, il respiro, la temperatura, registrerà movimenti per valutarne il livello di sicurezza, l’incidenza sul fisico. I dati raccolti saranno trasferiti ad ergoCub che potrà così scegliere i movimenti più appropriati.

«Il nostro approccio sarà quello di introdurre robot umanoidi collaborativi che possano interagire come dei veri compagni di lavoro»

Il robot umanoide dovrà innanzitutto non essere percepito come un intruso quanto piuttosto come un prezioso aiutante. Necessario sarà quindi monitorare costantemente l’impatto psicosociale sui lavoratori, per andare da un lato a favorire il benessere del lavoratore, sia fisico che (appunto) psicosociale, e dall’altro lato per procedere ad integrarli al meglio in due scenari di lavoro differenti selezionati per la sperimentazione: uno industriale (logistico) ed uno ospedaliero. Tali dati saranno poi valutati congiuntamente per l’IIT di Genova e il Centro ricerche Inail di Monte Porzio Catone.

Le protesi retiniche di EPFL potrebbero fornire una visione artificiale ai non vedenti

Sviluppare tecnologie che permettano ai non vedenti di ripristinare la vista è una delle maggiori sfide di sempre per ricercatori e ingegneri. Il team EPFL ha compiuto passi significativi in questo ambito realizzando degli impianti per retina che potrebbero permettere una forma di visione artificiale a chi soffre di cecità.

I ricercatori guidati da Diego Ghezzi, detentore della Medtronic Chair in Neuroengineering presso la School of Engineering di EPFL, lavorano al progetto sin dal 2015. I risultati recenti dello studio sono apparsi in un articolo pubblicato su Communication Materials.

L’impianto retinico progettato dal gruppo di ingegneri dell’istituto svizzero funziona con l’ausilio di occhiali intelligenti dotati di fotocamera e micromputer.  L’accessorio smart, comunicando con gli elettrodi del dispositivo, fa percepire immagini semplificate in bianco e nero composte da punti luminosi.

“Il nostro sistema è progettato per fornire ai non vedenti una forma di visione artificiale utilizzando elettrodi per stimolare le loro cellule retiniche”

Diego Ghezzi, Assistant Professor

La fotocamera degli occhiali cattura le immagini all’interno del campo visivo e le trasmette al microcomputer in essi integrato. Tale processore viene impiegato per inviare informazioni agli elettrodi della protesi retinica in forma, appunto, di segnali luminosi.

La stimolazione della retina da parte dei 10.500 elettrodi di cui è dotata la protesi genera la percezione di questi punti luce che, come fossero costellazioni, permettono la visione semplificata di forme e oggetti. Il sistema non è ancora stato testato sugli esseri umani, ma messo alla prova con simulatori di realtà virtuale, ha dato esiti incoraggianti.

Per determinare il numero di elettrodi ottimale alla percezione delle immagini, i ricercatori hanno preso in considerazione gli stessi parametri impiegati nel rilevamento della vista: il campo visivo e la risoluzione. Il team ha inoltre accertato attraverso test elettrofisiologici che ogni singolo elettrodo andasse a stimolare una parte diversa di retina.

Le simulazioni con la realtà virtuale hanno dimostrato che l’eventuale aumento di punti luce non apporterebbe migliorie alla definizione delle immagini. Sono stati inoltre messi in atto test a risoluzione costante, ma con angoli di campo differenti. Le relative sperimentazioni hanno attestato a 35 gradi il punto di saturazione.

Il risultato favorevole degli studi e dei test virtuali svolti dal team di EPFL alimenta la speranza che si possa presto arrivare alla realizzazione di tecnologie in grado di rivoluzionare la vita dei non vedenti. Le sperimentazioni cliniche sono però lontane: è ancora presto per prevedere impianti sui pazienti.

 

Per approfondire:
N.A.L. Chenais, M.J.I. Airaghi Leccardi, D. Ghezzi (2021), Photovoltaic retinal prosthesis restores high-resolution responses to single-pixel stimulation in blind retinas, Communication Materials (2021), 2, https://doi.org/10.1038/s43246-021-00133-2

Nuove frontiere nell’utilizzo e nella trasformazione della plastica

La plastica è un problema globale che acquisisce dimensioni ormai non trascurabili. Da tempo vista come una minaccia sgradevole, da rimuovere totalmente dal pianeta: sempre meno invece si è andato ad identificare soluzioni alternative per il riciclo o il totale smaltimento.

Si è provato spesso ad andare a sostituirla con altri materiali: più resistente, più indicata per la produzione di determinati prodotti, è stata più volte soppiantata da alternative che hanno riscontrato grande successo, ma anche che hanno registrato pesanti fallimenti in termini di funzionalità e performance ottenute.

 

«Tutti sono preoccupati per la plastica, ma la realtà è che non riusciamo a non farne uso»

Professor Thomas Maschmeyer, Docente di Chimica all’Università di Sydney

 

Maschmeyer ha così cercato di andare oltre al problema. Come? Cercando di trovare un modo per rendere la plastica una risorsa. Si tratta di un processo chimico che va ad agire sulla plastica per trasformarla in carburante o in un nuovo prodotto esso stesso di plastica.

Tale processo, utilizzando acqua ad alta pressione e alta temperatura, è in grado di scomporre la plastica nei suoi più piccoli componenti chimici. L’acqua, inoltre, è in grado di prevenire reazioni chimiche indesiderate. Per fare tutto questo è indispensabile il reattore idrotermico catalitico “Cat- HTR” sviluppato dal Professor Maschmeyer insieme alla startup Licella la cui costituzione si deve all’Università di Sydney.

I componenti chimici che andavano a comporre la plastica prima di essere sottoposta al processo, possono essere poi riconvertiti in nuove forme: solidi, quali le cere industriali; liquidi pesanti, come oli e grassi per la lubrificazione; liquidi leggeri, come solventi e carburanti; gas reattivi, come l’etilene per la produzione di nuove plastiche.

 

 

Tutto italiano è invece il nuovo studio pubblicato sulla rivista Progress of Energy and Combustion Sciences. Arriva infatti dal Politecnico di Milano e più precisamente dai ricercatori del Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “Giulio Natta” e si tratta di una completa analisi dello stato dell’arte, dei cambiamenti in atto e delle direzioni future del riciclaggio chimico delle plastiche solide. 

Il processo di pirolisi, ovvero di decomposizione di materiali per mezzo del calore e gassificazione, potrebbe portare in un prossimo futuro alla completa circolarità della plastica. Anziché nemico da eliminare, diverrebbe così risorsa da sfruttare al meglio, grazie al suo potere di godere di una nuova vita, infinite volte.

 

 

Per approfondire:
Onur Dogu, Matteo Pelucchi, Ruben Van de Vijver, Paul H.M.Van Steenberge, Dagmar R.D’hooge, Alberto Cuoci, Marco Mehl, Alessio Frassoldati, Tiziano Faravelli, Kevin M. Van Geem (2021) The chemistry of chemical recycling of solid plastic waste via pyrolysis and gasification: State-of-the-art, challenges, and future directions, Progress in Energy and Combustion Science, Volume 84, May 2021, 100901, https://doi.org/10.1016/j.pecs.2020.100901

KiTT: la ginocchiera smart che traccia i movimenti

Il futuro della diagnostica si basa sul connubio tra tecnologia e tessile. Smart textile che permettono di monitorare i parametri vitali di neonati e di sportivi, sensori incorporati ai filati per il controllo e il trattamento a distanza di patologie croniche, cerotti in grado di rilevare e quantificare il livello di stress.

Oggi al centro della nostra attenzione c’è KiTT, ginocchiera che una volta indossata permette di tracciare i movimenti eseguiti e di rilevare dati sulle condizioni dell’arto. Gli atleti potranno agevolmente tenere sotto controllo le proprie performance. Artefice del dispositivo Footfalls & Heartbeats, azienda di Nottingham che si occupa dello sviluppo di tessuti intelligenti.

Il dispositivo verrà realizzato grazie al finanziamento ottenuto da European Smart Textile Accelerator (SmartX), programma collocato nell’ambito di Horizon 2020 e nato per supportare i progetti innovativi di PMI e startup tessili. Obiettivo della misura triennale è favorire l’incontro tra le realtà innovative e il mercato europeo garantendo fondi e sostegno per lo sviluppo di tessuti intelligenti.

Footfalls & Heartbeats collaborerà alla realizzazione di KiTT con Revolve, agenzia di sviluppo software polacca che si occuperà dell’app, e Ioetec, società di sicurezza IoT con sede a Sheffield responsabile degli aspetti inerenti sicurezza, hardware ed elettronica.

“Be bold, be brave, have fun and change the world”

Simon McMaster, Footfalls & Heartbeats

“Footfalls sta realizzando una tecnologia tessile avanguardistica per assistere il monitoraggio fisiologico a distanza in molti settori” afferma Simon McMaster, fondatore e CSO dell’azienda inglese, aggiungendo di essere entusiasta del supporto ricevuto da SmartX e di non vedere l’ora di iniziare il progetto.

La ginocchiera innovativa KiTT è il prodotto ideale per i mercati di benessere, sport e fitness. La possibilità di monitorare i movimenti e di raccogliere informazioni utili sullo stato di salute dell’arto rendono il dispositivo un potenziale ausilio d’eccellenza per l’assistenza riabilitativa e la fisioterapia di pazienti e infortunati.

Dallo spin off universitario Gate Srl, arriva la sanificazione eco-sostenibile

Nato nell’ambito dell’Università di Ferrara come trattamento di sanificazione antimicrobico, con l’avvento dell’emergenza epidemiologica ha virato il suo focus e dimostrato sperimentalmente la propria efficacia in funzione antivirale. Si chiama EWS – Electrolyzed Water System ed è una tecnologia di sanificazione innovativa che riesce ad essere non soltanto più efficace ma anche più sostenibile.

Un sanificante altamente performante contro virus e batteri ma che non danneggia l’uomo né l’ambiente. Rispetto alle sostanze sul mercato, infatti, primi test e sperimentazioni ne hanno evidenziato da un lato enormi vantaggi in termini di capacità di eliminare e proteggere dai virus e dall’altro lato, una minore tossicità e nocività. A differenza di quanto attualmente utilizzato, infatti, EWS non permane negli ambienti (o comunque non richiede ore prima di consentire all’uomo, ad esempio, di rientrare in un locale sanificato). EWS risulta essere immediatamente “avvicinabile”.

E se entrarne in contatto non risulta arrecare alcun danno alla salute, attualmente è in corso una sperimentazione per comprendere se sia possibile procedere alla sanificazione con EWS direttamente sulla persona. Se nei luoghi di lavoro è raccomandato l’utilizzo dell’ozono per la sanificazione esclusivamente in assenza dell’uomo, immaginiamoci invece questi sanificatori posti agli ingressi dei luoghi pubblici che solitamente utilizzano proprio ozono e idrogeno.

Sviluppato dalla Professoressa Elena Tamburini dell’Università di Ferrara, insieme allo spin off Gate Srl Green for the Future, di cui la Professoressa è Direttore Scientifico, specializzato in tecnologie green innovative riconducibili ai field dell’elettrochimica e delle biotecnologie a basso impatto ambientale, il sistema EWS è un sistema completo: esso comprende infatti la macchina per realizzare la soluzione, il prodotto sanificante da diffondere e diversi tipi di diffusore/nebulizzatore.

Più nel dettaglio, in riferimento alla macchina, la EWS Machine non è altro che un impianto di piccole dimensioni per la produzione dell’Electrolyzed Water, il sanificante eco-compatibile, per la neutralizzazione di virus e batteri. Fornire anche il macchinario, consente di produrre just in time la soluzione: così facendo oltre a consentirne l’utilizzo nel momento di massima proprietà performante, è anche possibile produrne esattamente la quantità necessaria. Inoltre, differenti concentrazioni specifiche di acqua e sale possono essere selezionate per un ulteriore ottimizzazione del prodotto EWS Solution (questo il nome della soluzione): da 10 a 400 PPM, per tornare poi ad essere acqua e sale una volta esauritasi la proprietà sanificante.

Infine, a completamento del sistema, è compresa la possibilità non soltanto di produrre la soluzione ma anche di scegliere la metodologia di nebulizzazione, ovvero di selezionare il nebulizzatore che meglio si adatta alle specifiche esigenze (l’EWS Nebulizer). Tra questi anche un sistema a nebulizzazione secca chiamato Dry Storm, realizzato da Gate Srl insieme ai partner di Spray Team, società che progetta e realizza atomizzatori professionali.

Realizzato in Italia il primo tatuaggio smart con tecnologia OLED

Come un tatuaggio temporaneo, può essere applicato a persone e oggetti semplicemente inumidendolo con l’acqua: si tratta del dispositivo a emissione di luce realizzato dall’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) in collaborazione con la University College di Londra.

Compiendo un passo in avanti nella ricerca e nello sviluppo di tatuaggi intelligenti, il team di ricercatori ha sfruttato la tecnologia a diodi organici a emissioni di luce (OLED), la stessa impiegata negli schermi di TV e di smartphone. Il tatuaggio può essere applicato con acqua e una piccola pressione e ha una grandezza di soli 2,3 micrometri.

I tatuaggi intelligenti hanno ampio potenziale e una vasta gamma d’applicazioni.  Se integrati con altri sensori il loro impiego può permettere la rilevazione di dati di diverso tipo, quali lo stato di idratazione di un atleta, il cambiamento di condizione di un paziente o la condizione di deterioramento di frutta e verdura.

L’uso di micro sensori e tecnologie smart nelle diagnosi mediche è sempre più proficuo, ne è esempio il cerotto in grado di rilevare il livello di stress di EPFL e Xsensio. Ma i tatuaggi luminosi OLED non si attestano soltanto come potenziali alleati in ambito sanitario, potrebbero essere sfruttati anche come accessorio fashion.

“I tatuaggi elettronici rappresentato un settore di ricerca in espansione”

Virgilio Mattoli – Ricercatore IIT

Per la loro realizzazione il team ha interposto tra gli elettrodi un polimero elettroluminescente, polimero che emette luce quando applicato a un campo elettrico, e ha isolato i componenti con uno strato della pellicola impiegata per i tatuaggi temporanei.

Sul polimero è stata utilizzata la spin coating, procedura che attraverso una filatura veloce permette di ricavare uno strato sottile e uniforme. Il risultato, un piccolissimo tatuaggio in grado di emettere luce verde, è stato poi testato su diversi materiali: lastra di vetro, bottiglia di plastica, arance e imballaggi di carta.

I tatuaggi elettronici annoverano vantaggi significativi: dalla facilità di applicazione ed eliminazione, per la quale bastano solo un po’ di acqua e sapone, alla semplicità d’uso. Inoltre possono essere realizzati su larga scala con un costo estremamente economico.

Il professor Franco Cacialli dell’University College di Londra spiega che il lavoro svolto non rappresenta che un primo passo: sarà ora necessario concentrarsi sull’incapsulamento degli OLED per limitarne la rapida degradazione con l’aria e sulla loro possibile integrazione con batterie o supercondensatori.

 

Per approfondire:
Barsotti, J., Rapidis, A.G., Hirata, I., Greco, F., Cacialli, F., Mattoli, V. (2021) Ultrathin, Ultra‐Conformable, and Free‐Standing Tattooable Organic Light‐Emitting Diodes, Advanced Electronic Materials 2021, Volume 7, Issue 1, https://doi.org/10.1002/aelm.202001145

Sumeri si salpa! A Torino le consegne le fa il drone

È stato realizzato a Torino il Progetto che ha visto il coinvolgimento oltre che del Comune di Torino, anche di D-Flight, società del gruppo ENAV (che gestisce il traffico aereo in Italia) in collaborazione con Leonardo e Telespazio.

Una rivoluzione green: è infatti il primo progetto realizzato in Italia e tra i primi al Mondo che ha visto salire nei cieli urbani droni a propulsione elettrica controllati da remoto.

L’iniziativa, secondo Laurent Sissmann, SVP di Unmanned Systems di Leonardo

“… esprime la visione di Leonardo per rendere le città più funzionali, sostenibili ed ecologiche attraverso le nuove tecnologie in ambito unmanned e logistica, da impiegare anche in situazioni di emergenza come quelle degli ultimi mesi”

 

 

Controllati da remoto e in grado di muoversi senza difficoltà in un contesto urbano, combinano intelligenza artificiale e automazione, insieme alle competenze aeronautiche e alle capacità sistemiche di Leonardo.

La sperimentazione, avviata in collaborazione con Torino City Lab, vanta una capacità di carico molto elevata: un drone da 130kg in grado di sollevarne ulteriori 25 kg. Per la sua realizzazione, inoltre, è stata impiegata la piattaforma D-Flight che oltre a servizi di rilascio e registrazione di QR-code, rappresenta una delle prime piattaforme di U-Space, ovvero relative allo spazio aerei dedicato ai velivoli unmanned.

La città di Torino non è nuova all’utilizzo dei droni: in una versione luminosa, essi hanno da qualche anno sostituito addirittura i fuochi d’artificio.

Marco Pironti, Assessore all’Innovazione evidenzia come

“Tra i casi d’uso di maggior interesse, il trasporto merci declinato all’approccio multimodale dell’ultimo miglio urbano, ovvero un’innovazione ad alto impatto positivo per la città, l’ambiente e i cittadini.”

 

Oltre all’elevata capacità di carico, per rivoluzionare la logistica, è necessario un elevato livello di automazione, oltre a servizi avanzati per la gestione del traffico aereo. Il risultato sarà una maggiore efficienza nelle consegne in termini di tempi, ma anche di riduzione dei costi, aggiunta a una non trascurabile riduzione dell’impatto ambientale.

Un personal trainer robot per l’allenamento degli anziani

Robotica, intelligenza artificiale, apprendimento automatico: tecnologie attuali sempre più diffuse. Gli impieghi spaziano negli ambiti più svariati, dall’agricoltura, ne è esempio la serra verticale di Plenty, all’architettura, una prima opera è stata realizzata grazie all’Università di Princeton.

Particolarmente significativa l’applicazione in medicina e assistenza alla persona: è in questa direzione che prende le mosse il progetto Dr. VCoach: Employment of Advanced Deep Learning and Human-Robot Interaction for Virtual Coaching dell’Università di Cagliari.

Dr. VCoach è un robot umanoide personal trainer pensato per supportare le attività motorie di allenamento delle fasce di età più avanzate. Il dispositivo, in funzione degli input verbali e visivi ricevuti durante l’attivazione e l’interazione con l’utenza, sarà in grado di definire ed eseguire un programma di esercizi mirati.

La ricerca, che durerà per due anni da settembre 2021 a ottobre 2023, sarà coordinata da Diego Reforgiato Recupero, docente di Informatica al Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Università di Cagliari e vedrà il coinvolgimento del ricercatore Nino Cauli. Sarà quest’ultimo il beneficiario del finanziamento ottenuto dal progetto, la borsa di ricerca del programma europeo Marie Sklodowska-Curie Individual Fellowships.

Il robot sarà addestrato tramite interfaccia specifica da veri personal trainer. Basandosi sui comandi verbali ricevuti dagli utenti sarà in grado di tarare l’allenamento in modo da soddisfare le esigenze specifiche del fruitore, mentre attraverso la visione robotica installata potrà rilevare, monitorare ed eventualmente correggere i movimenti degli anziani atleti eseguendoli nel modo idoneo.

Al progetto, che sarà sviluppato al HRI Lab presso i locali del Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Ateneo di Cagliari, collaborano anche le aziende R2M Solution s.r.l., società coinvolta in diversi progetti H2020 sul tema,  EveryWhereSport s.r.l. e VisioScientiae s.r.l., entrambe spin-off dell’università sarda.

Il laboratorio, attivo su tecnologie di Deep Learning, Sentiment Analysis, IoT, Assistive Technologies e Semantic Web, si occupa di interazione uomo-robot e ha all’attivo diversi studi basati sull’applicazione di NOA/Zora, dispositivo programmabile e autonomo in grado di interagire con l’uomo attraverso il linguaggio naturale.

Il robot sarà in grado di comunicare con l’utente, comprenderne gli stati emotivi, identificare ciò che viene eseguito davanti alla propria telecamera e generare movimenti in funzione degli stimoli ricevuti. Dr. VCoach garantirà supporto all’allenamento dei più anziani in modo coinvolgente e permettendo loro una esecuzione degli esercizi semplificata, basata sull’imitazione.

Raccogliere la frutta senza sprechi grazie ai Droni intelligenti

In un momento quale quello attuale, caratterizzato dall’emergenza pandemica da COVID-19 e la conseguente limitazione negli spostamenti dell’uomo, la tecnologia corre in aiuto all’agricoltore. Come? Con i robot!

Nell’anno designato dalle Nazioni Unite come l’Anno Internazionale della frutta e della verdura (il 2021), se da un lato cresce l’attenzione alla riduzione degli sprechi e delle perdite, aumenta dall’altro lato anche l’attenzione rivolta all’introduzione di elementi di innovazione e al miglioramento delle tecnologie in agricoltura. Nel mondo, ogni anno, si producono circa 800 milioni di tonnellate di frutta. Ma chi la raccoglie?

La raccolta della frutta è un’attività intensa, che richiede un elevato numero di dipendenti stagionali, sempre più difficili da reperire. Sempre meno persone sono infatti disposte a ricorrere a un lavoro tanto faticoso e spesso poco remunerato, oltre che caratterizzato da picchi di lavoro stagionali accompagnati da lunghi mesi di totale inattività.

Dall’avvento dell’emergenza epidemiologica, inoltre, la limitazione degli spostamenti ha ancor più ridotto il bacino di manodopera disponibile: Italia e Spagna hanno addirittura consentito l’impiego di immigrati non regolari per far fronte alle esigenze dei campi e riuscire a raccogliere quanto coltivato. Altri paesi in Europa hanno sollecitato coloro che avevano perso il lavoro a causa della pandemia ad andare nei campi per aiutare gli agricoltori ad evitare che i frutti marcissero sulle piante prima di essere raccolti.

Abbiamo precedente parlato dell’utilizzo della tecnologia 4.0 in agricoltura e, nello specifico, delle promettenti potenzialità derivanti dall’impiego dei droni. Dalla combinazione tra droni e Intelligenza Artificiale, un’azienda israeliana, ha inventato un robot autonomo intelligente. Il suo nome è FAR™ (Flying Autonomus Robots) e deve le sue origini alla Tevel Aerobotics Technologies: grazie all’AI è in grado di identificare i frutti sugli alberi, riconoscerne lo stato di maturazione e, se è il momento giusto, coglierli. Può lavorare 24 ore al giorno e promette di ridurre costi del lavoro e sprechi alimentari.

Questi robot volanti e autonomi per la raccolta della frutta sono caratterizzati da visione artificiale, robotica avanzata, ingegneria aeronautica, controllo di volo all’avanguardia e analisi dati raccolti.

Tevel precisa che i suoi robots non mirano ad andare a sostituire completamente il lavoro dell’uomo quanto piuttosto ad integrarsi con esso. Per il 2050 prevede che mancheranno all’appello circa 5 milioni di raccoglitori necessari: grazie a FAR sarà quindi possibile andare a cogliere le crescenti quote di prodotti non raccolti e, quindi, sprecati. L’azienda israeliana, nata nel 2017, ha risolto numerose sfide tecnologiche e provvederà al lancio commerciale di FAR in questo 2021. Massime prestazioni al minor costo, elevati livelli di flessibilità che consentono di raccogliere differenti tipologie di frutti: dove non arriverà l’uomo, ci arriveranno i droni, per un’agricoltura più sostenibile!

Un cerotto intelligente misura il livello di stress

Che sia a causa del lavoro o problematiche personali, tutti possiamo subire il cattivo effetto del cortisolo, l’ormone dello stress, sostanza che può minacciare seriamente lo stato di salute. Oggi è possibile monitorarne i livelli costantemente: la collaborazione tra EPFL e Xsensio ha infatti portato allo sviluppo di un dispositivo indossabile in grado di misurare il cortisolo presente nel sudore umano.

Finora è stato possibile valutarne la presenza esclusivamente con gli esami del sangue, quindi attraverso una misurazione momentanea. Ma essendo individuabili anche in alcuni liquidi corporei, gli ingegneri del Nanoelectronic Devices Laboratory (Nanolab) e della startup svizzera Xsensio hanno realizzato un cerotto con sensore miniaturizzato in grado di rilevare il cortisolo nel sudore di chi lo applica.

L’impiego di micro sensori o device elettronici per l’osservazione dei parametri vitali è oggetto di grande interesse e ricerca. Che siano integrati ai filati in tessuti flessibili, come i dispositivi realizzati dal MIT, o indossabili insieme a capi di abbigliamento ad hoc, ne sono esempio i prodotti della startup ComfTech®, offrono vantaggi significativi nelle pratiche di assistenza sanitaria.

“Poiché può essere indossato, gli scienziati possono raccogliere dati quantitativi e oggettivi su alcune malattie legate allo stress.”

Professor Adrian Ionescu – Nanolab

Il cortisolo è l’ormone secreto dal corpo in risposta a situazioni usuranti, ma quando viene prodotto in quantità erronea può provocare gravi danni alla salute. L’individuazione attraverso il sudore resa possibile dal team di ricercatori EPFL e Xsensio risulta estremamente valida essendo l’unico metodo esistente per raccogliere valori in modo continuo, preciso e non invasivo.

Il cerotto rileva l’ormone attraverso un transistor e un elettrodo in grafene attivato dagli aptameri, acidi in grado di legarsi a composti specifici. A contatto con il cortisolo sono in grado di individuarne immediatamente la presenza e permettere la misurazione della loro concentrazione. Il dispositivo intelligente è stato testato sulla piattaforma di rilevamento Lab-on-Skin TM di Xsensio.

La tecnologia EPFL e Xsensio potrebbe avere un ruolo cruciale nella diagnosi di disfunzioni legate allo stress quali obesità, malattie cardiovascolari ed esaurimento e in particolare in funzione della comprensione di patologie quali depressione e burnout, i cui stadi sono oggi difficilmente quantificabili. Il team di ricerca ha inoltre espresso la volontà di testare presto il cerotto in ambito ospedaliero: questa la direzione del progetto ponte avviato con l’Ospedale Universitario di Losanna (CHUV).

 

Per approfondire:

Sheibani, S., Capua, L., Kamaei, S., Akbari, S. S. A., Zhang, J., Guerin, H. and Ionescu, A. M. (2021) Extended gate field-effect-transistor for sensing cortisol stress hormone, Communications Materials 2021, 2, 10, https://doi.org/10.1038/s43246-020-00114-x