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Il cerotto che segnala al tuo medico un’anomalia cardiaca

Abbiamo già parlato diverse volte di wearable technologies e della messa a punto di nuovi sensori intelligenti applicabili come cerotti, direttamente sulla pelle. Oggi vi raccontiamo il progetto nato dall’esperienza personale di Jeff Kim, studente master presso la Whiting School of Engeenering della Johns Hopkins University. 

Segnato profondamente dalla morte dello zio causata da un improvviso attacco cardiaco, già nel 2016 decise di mettere le sue competenze di ingegnere hardware a disposizione di questa specifica esigenza medica.

Risultato di questo impegno e di una lunga ricerca, è il dispositivo patch ResQ: capace di monitorare e registrare forza e tempistica dell’attività elettrica del cuore, può trasformare queste informazioni in dati di chiarissima lettura, e può procedere alla loro condivisione – in caso di anomalie – a caregiver e medico di riferimento.

Durante il corso delle sue ricerche, Kim ha avuto modo di approfondire dinamiche, numeri e modalità correlate ad attacchi cardiaci extra ospedalieri negli USA.

Da qui la decisione di riunire un gruppo di ingegneri per avviare ResQ, una soluzione che possa prendersi cura di persone vulnerabili, come mio zio e mia nonna

Il team ad oggi comprende anche Jihoon Han, il quale si occupa della progettazione della parte hardware e dell’elaborazione del segnale, mentre Peter Kim sta sfruttando il suo background in economia finanziaria per la gestione delle operazioni aziendali di ResQ.

Il gruppo di lavoro ha creato il primo prototipo lo scorso inverno e lo ha sottoposto ad una serie di test elettrici e prestazioni, confermando una trasmissione dati pulita ed esatta alla relativa all’applicazione per smartphone. Sono già stati apportati miglioramenti all’unità di data acquisition ed al modulo di comunicazione per accelerare il protocollo di trasferimento. Il secondo prototipo, è ora pronto per una seconda fase di test legati alla possibile acquisizione di dati ECG dei pazienti durante attività motorie. 

Speriamo di fornire una rete di sicurezza per coloro che hanno malattie cardiovascolari esistenti per condurre la loro vita senza doversi preoccupare di un imminente attacco di cuore […]. Il nostro gruppo spera anche di fornire dati clinici semplici e puliti ai medici per facilitare la telemedicina o l’assistenza domiciliare, migliorando i risultati di salute dei pazienti e l’efficienza dell’assistenza sanitaria

 Jeff Kim

Remotizzazione, sensoristica e acquisizione dati

Ci piace raccontare i progetti realizzati dagli altri; ci piace raccontare le applicazioni più interessanti di tecnologie 4.0; parlare dello sviluppo di prototipi che ci hanno particolarmente colpito; invenzioni innovative e inventori di cui è bene che si parli: questa volta racconteremo di un progetto in cui anche noi stiamo facendo la nostra parte.

Insieme a CEP e ASCC, stiamo lavorando alla modifica dell’approccio alla manutenzione delle cabine elettriche secondarie, introducendo il concetto di predittività per evitare l’interruzione dell’energia elettrica e rendendo più efficienti le attività legate alla manutenzione, oltre che prolungando il ciclo di vita della macchina.

Sensori, acquisizione dati, elaborazione e trasmissione di questi ultimi, divengono essenziali per conoscere in anticipo e senza falsi allarmi l’insorgere di un possibile guasto. Grazie ad un sistema di visualizzazione da remoto, il manutentore potrà essere avvisato del possibile guasto istantaneamente, in modo da poter intervenire prima che questo si manifesti e generi un blocco nella distribuzione dell’energia elettrica.

In Italia esistono centinaia di migliaia di cabine secondarie di trasformazione elettrica MT/bt che svolgono la fondamentale funzione di alimentare industrie e zone residenziali in modo estremamente capillare. La manutenzione di tali cabine prevede una serie di operazioni da ripetersi semestralmente o annualmente. Necessaria è ovviamente un’apposita squadra di tecnici.

Il progetto su cui stiamo lavorando da oltre un anno prevede di modificare l’approccio alla manutenzione: non più periodicamente, a cadenza fissa, come il tagliando dell’automobile, ma a seconda delle effettive necessità di manutenzione.

Queste le parole di Stefano Poretta, responsabile del progetto per C Quadra.

Ovviamente, per il momento, non è possibile sostituire completamente la presenza umana in quanto imposta dalla normativa vigente, ma è tuttavia possibile ridurla, remotizzando alcuni controlli.

Fondamentale è anche l’introduzione del concetto di predittività della manutenzione. Essa consiste nel collocare nella cabina stessa un sistema dotato di sensori (specifici per temperatura, umidità, rumore, fumo, presenza SF6, acquisizione di immagini, eccetera), un sistema di acquisizione dati e un sistema di elaborazione e trasmissione degli stessi dati (solo nel caso di possibile guasto) che consenta all’operatore di manutenzione, di conoscere in anticipo e senza falsi allarmi l’insorgere di un possibile guasto.

Infine, a corredo di tutto ciò, vi sarà un sistema di visualizzazione da remoto di semplice lettura, che consentirà al manutentore di essere avvisato del possibile guasto istantaneamente, in modo da poter intervenire prima che questo si manifesti e generi un blocco nella distribuzione dell’energia elettrica. Aspetto non da poco: basti pensare ad un impianto industriale di produzione in continuo. La mancanza di energia elettrica si traduce in mancanza di produzione con conseguenti perdite di denaro. In casi ancora peggiori, quando le lavorazioni svolte in impianti industriali sono di tipo meccanico, l’interruzione dell’energia elettrica si traduce nel possibile logorio di alcuni utensili di lavoro (punte di trapano, mandrini, ecc), di una loro necessaria e successiva sostituzione, aggiungendo ulteriori costi. Certo, è possibile evitare quest’ultimo inconveniente tramite l’impiego di sistemi UPS, ma non tutte le industrie ne sono dotate e comunque la durata di erogazione di tali sistemi è normalmente molto limitata nel tempo, a meno di non dotarsi di un parco batterie estremamente costoso.

Il progetto è attualmente in corso e prevede due prime installazioni pilota entro ottobre 2021 per consentire di acquisire dati che ne validino il funzionamento o che suggeriscano eventuali modifiche.

Anche il settore eyewear punta tutto sulla circolarità

La collaborazione tra Eastman, fornitore globale di materie plastiche specializzate, e Mazzucchelli 1849, prestigioso rappresentante del mondo eyewear, è stata annunciata ad inizio anno. 

Ma cos’ha di speciale questa partnership? Sicuramente è una concreta dimostrazione di come si può sfruttare davvero il riciclo chimico della plastica.

Mazzucchelli, società con sede a Castiglione Olona, è leader nella produzione e nella distribuzione di prodotti in diacetato di cellulosa, un materiale plastico non derivante dal petrolio, conosciuto principalmente per il suo utilizzo nel mondo dell’occhialeria di alta fascia. Grazie alle competenze di Eastman, potrà produrlo partendo da una polvere di acetato completamente ecosostenibile.

Le nuove lastre di Acetato Renew™, nasceranno grazie ad un processo chimico, chiamato Carbon Renewal Technology, che combina scarti plastici di produzione, calore, pressione e vapore, per generare syngas, atomi di idrogeno e di carbonio, tutti elementi che verranno poi utilizzati per la produzione di nuovo materiale, circolare a tutti gli effetti, ma assolutamente comparabile in termini di qualità ed estetica. 

Mazzucchelli fornirà ad Eastman gli scarti di diacetato, così che possa convertirli e riconsegnarli all’azienda del varesotto, pronti per essere (ri)trasformati in lastre.

Il nuovo fiocco di Acetato Renew™ sarà composto per il 60% da materiali biologici e per il 40% da materiali riciclati, certificati attraverso gli audit ISCC – International Sustainability & Carbon Certification. La sua produzione permetterebbe anche una significativa riduzione delle emissioni di gas serra, fino ad un 50% rispetto al processo tradizionale.

L’utilizzo di questo nuovo acetato non comporta alcun sacrificio nelle prestazioni, il che significa che possiamo utilizzarlo in tutta la nostra gamma di design di alta qualità. Siamo lieti di aver raggiunto questo obiettivo, che è il risultato di una relazione costruttiva, e di essere i primi a produrre lastre di acetato con questo materiale nonché di convogliare alla tecnologia di rigenerazione del carbonio scarti che altrimenti finirebbero nelle discariche.

Questa la dichiarazione di Giovanni Orsi Mazzucchelli, presidente ed azionista dell’azienda. Questa partnership è da considerarsi fondamentale punto di partenza per molto altro: l’avvio di un percorso sostenibile, che guarda ai prodotti tanto quanto ai processi per l’intero settore dell’occhialeria. 

Eastman inizierà a breve a raccogliere – e riciclare – su larga scala gli scarti dei produttori. Scopo ultimo, quello di creare un vero e proprio circuito chiuso, per un mondo eyewear senza sprechi. Già nel 2019, fu la prima azienda ad avviare il riciclo chimico su scala commerciale per un’ampia selezione di rifiuti plastici, fornendo una reale soluzione circolare ad un ingombrante problema. 

Grafene nel tessile: dai filati alle fibre, dalle ovatte alle piume

Abbiamo già precedente trattato il tema dell’utilizzo del grafene in ambito tessile. Nello specifico parlammo della mascherina G+ Co-Mask, sviluppata da Directa Plus, azienda comasca produttrice e fornitrice di grafene.

Non molto distante si trova il Gruppo Lazzati costituito nel 1989 da Fabio Lazzati, ma che trae le sue origini dalla storica manifattura tessile Tessitura A. Lazzati & C srl, nata nel 1959 grazie ad Arrigo e Giuseppe Lazzati.

Nel Gruppo, tra le altre, la società Technow fondata nel 2016, attiva tra San Vittore Olona e la Provincia di Como, con una sede in Svizzera ed una a Shangai e che opera nella ricerca, lo sviluppo e l’innovazione.

Proprio a Technow si deve la realizzazione del progetto “Graphene Inside the Future”. Protagonista indiscusso è il grafene, individuato quale componente dalle grandi performance e che, nell’ambito della realizzazione del progetto, può essere utilizzato trasversalmente nel settore tessile su prodotti di diverso tipo: dai filati, alle fibre, dalle membrane o le ovatte, alle piume.

Come sappiamo, vanta prestazioni in grado di conferire ai tessuti interessanti proprietà: è infatti in grado di assorbire, trasmettere e dissipare il calore più velocemente rispetto ai materiali tradizionali. Gode di proprietà antibatteriche ed antistatiche, utilissime sia in ambito sportivo che in ambito medicale. Ma non solo: grazie al grafene i tessuti divengono anche più resistenti all’usura ed ai lavaggi.

Il nostro grafene, inoltre, rientra nel concetto di economia circolare, perché non viene ottenuto dalla lavorazione della grafite, ma proviene dalla carbonizzazione degli scarti produttivi del mais, riducendone l’impatto ambientale

Queste le parole di Francesco Lazzati, co-founder e Business Developer di Technow, che evidenzia come la sostenibilità sia un concetto fondamentale nel Progetto, grazie alle biomasse. Non solo un trattamento che rende il tessuto, la fibra, la piuma, più resistente ai lavaggi, ma anche generato da energia pulita.

La risonanza e il coinvolgimento di aziende internazionali, oltre a rendere la società rilevante nell’ambito dello Smart Textile, ha poi ampliato gli ambiti di applicazione inizialmente riconducibili al fashion e allo sportswear, sino a, come accennato, la piuma utilizzata per le imbottiture, l’ovatta, il denim, i collant, la maglieria circolare, ecc.

I materiali di Technow sono inoltre certificati OEKO-TEX e bluesign.

Artificial Intelligence per lo screening cutaneo

MIT Catalyst è un programma speciale del Massachusetts Institute of Technology dedicato alla ricerca di soluzioni innovative e d’impatto per esigenze mediche e sanitarie, oggi non ancora soddisfatte. All’interno di questo scenario, si colloca il progetto del quale parleremo oggi: la messa a punto di uno strumento con cui effettuare uno screening cutaneo dei nevi, avvalendosi “solo” dell’uso della fotocamera di uno smartphone. 

Ecco come funziona: dopo aver scattato una foto con determinate caratteristiche – tra le quali nitidezza ed ampiezza della parte del corpo immortalata – un sistema automatizzato rileva, estrae ed analizza tutte le lesioni pigmentate osservabili. Una rete neurale convoluzionale pre addestrata determina invece la natura della lesione e provvede a contrassegnarla tramite un colore, in base alla diagnosi: ovvio, il colore rosso, quale segnale di allarme, suggerisce un’ispezione più approfondita da parte del personale medico competente. 

Infine, l’immagine verrà poi visualizzata in un formato simile alle mappe di calore, per evidenziarne ulteriormente i risultati. 

Animazione dei ricercatori coinvolti nel progetto di ricerca | MIT News

La sfida dei ricercatori è si quella di permettere un rilevamento efficace ed efficiente del cancro alla pelle, ma in egual misura, il loro interesse è rendere effettivo un miglioramento dell’attuale capacità del sistema medico di fornire screening cutanei completi su larga scala.

La nostra ricerca, suggerisce che i sistemi che sfruttano la visione artificiale e le reti neurali profonde, possono ottenere una precisione paragonabile a quella di dermatologi esperti

Queste le parole di Luis R. Soenksen, esperto di dispositivi medici, il quale attualmente è Venture Builder per il MIT nella divisione Intelligenza Artificiale e Sanità. É lui il primo autore del recente articolo pubblicato su Science Translation Medicine, dal titolo “Using Deep Learning for Dermatologist-level Detection of Suspicious Pigmented Skin Lesions from Wide-Field Images”.

É infatti grazie all’AI, che i ricercatori hanno addestrato il sistema, utilizzando tra le altre, 20.388 immagini messe a disposizione dall’Ospedale Gregorio Marañon di Madrid. Tutte le referenze, sono state raccolte con fotocamere quotidianamente accessibili al consumatore medio, e sono poi state classificate da personale medico specializzato. Così facendo, si è arrivati a confermare una effettiva sensibilità all’individuazione di melanomi superiore al 90%.

 

Per approfondire:
Luis R. Soenksen, Timothy Kassis, Susan T. Conover, Berta Marti-Fuster, Judith S. Birkenfeld, Jason Tucker-Schwartz, Asif Naseem, Robert R. Stavert, Caroline C. Kim, Maryanne M. Senna, José Avilés-Izquierdo, James J. Collins, Regina Barzilay and Martha L. Gray (2021) Using deep learning for dermatologist-level detection of suspicious pigmented skin lesions from wide-field images, Science Tranlational Medicine, 17 Feb 2021, Vol. 13, Issue 581, eabb3652, DOI: 10.1126/scitranslmed.abb3652 

Dall’Alta Scuola Politecnica, il personal trainer robot che ti allena con gli algoritmi

In un precedente articolo abbiamo parlato di Dr. VCoach, il personal trainer per l’allenamento degli anziani, oggetto della ricerca che sarà avviata nel settembre di quest’anno, coordinata dall’Università di Cagliari (Employment of Advanced Deep Learning and Human-Robot Interaction for Virtual Coaching).

Simile, ma con diverso target è invece il progetto AI Empowered Hardware for Fitness Applications, realizzato dall’ASP – Alta Scuola Politecnica che coinvolge i Politecnici di Torino e Milano. Il robot umanoide in cui il progetto è integrato si chiama Pepper ed arriva dal Giappone: esistente già dal 2014 ed è stato il primo robot umanoide utilizzato negli aeroporti e nei negozi, in quanto capace di individuare e reagire alle emozioni.

Il team di ricerca ha integrato alcune parti hardware – una telecamera e uno zainetto per supportare la nuova scheda – e sviluppato il software che rende Pepper un personal trainer in grado di assistere chi si allena. Tra le funzionalità ottenute grazie al coinvolgimento di Reply e all’implementazione di algoritmi di Intelligenza Artificiale, si registra la capacità di preparare agli allievi una scheda con gli esercizi adattandosi alle capacità e ai miglioramenti degli stessi, contare le ripetizioni, registrare le sessioni di allenamento, ma anche osservarne l’esecuzione e correggere eventuali errori nella postura.

Ingegneri e designer del Politecnico di Milano e del Politecnico di Torino si sono avvalsi (oltre che del supporto di Reply) anche del coinvolgimento di laureati in scienze motorie e personal trainer. Ma non finisce qui: considerando il periodo attuale, l’emergenza pandemica, la prolungata chiusura delle palestre e il correlato crescente numero di individui che si vedono costretti ad allenarsi tra le mura domestiche, i ricercatori hanno creato la start up Gymnasio, allo scopo di realizzarne una versione low cost.

«La sfida per noi era anche “democratizzare” l’allenamento,
perché non tutti possono permettersi un personal trainer»

Queste le parole di Giuseppe Pastore, CTO di Gymnasio, fra i cinque studenti dell’Alta Scuola Politecnica che ha lavorato al progetto. Gli altri: Daniele Gusmini (CEO), Lapo Peruzzi (Industrial Designer), Andrea Rotella (CMO), Andrea Megaro (CFO).

Questa versione low cost è attualmente un prototipo ma è già pre-ordinabile e sarà disponibile sul mercato per la prossima estate; si configurerà come un piccolo cubo, 10cm x 10cm, accompagnato da un’app scaricabile su smartphone, decisamente più maneggevole ed usufruibile in un ambiente di dimensioni ridotte quali il salotto di casa. Il servizio prevederà il pagamento di un abbonamento.

L’AI permette la diagnosi non invasiva dei tumori cerebrali pediatrici

L’intelligenza artificiale è sempre più al servizio della sanità nella lotta contro il cancro. Lo studio condotto dall’Università di Birmingham in collaborazione con i ricercatori del WMG dell’Università di Warwick dimostra infatti come l’impiego di AI e tecniche avanzate di imaging possano sostituire efficientemente la biopsia nella diagnosi di tumori cerebrali infantili.

In passato ci siamo occupati di un tema analogo raccontando del dispositivo biomedicale realizzato dall’Università di Barcellona che sfruttando l’intelligenza artificiale è in grado di effettuare in modo efficace e delicato lo screening del tumore al seno.

Anche la recente ricerca, pubblicata su Scientific Reports, dimostra il potenziale della tecnologia AI nella diagnosi veloce e non invasiva dei tumori. Lo studio condotto si focalizza sul riconoscimento di tre tipi di tumore della fossa cranica posteriore.

Esempi di immagini a risonanza magnetica di pazienti pediatrici con tumore cerebrale

 

Attestandosi come principale causa di morte per cancro di bambini, l’individuazione celere e certa di queste tre tipologie di malattia appare fondamentale.

La cura dei minori necessita di particolare sensibilità e immediatezza nella gestione di patologie di tale gravità: la possibilità di analizzare le informazioni in modo rapido e indolore evitando la biopsia, così come la garanzia di un referto accurato e la prontezza di intervento adeguato, risultano cruciali.

“Abbiamo combinato l’imaging con l’intelligenza artificiale per fornire una diagnostica di alto livello che possa iniziare a dare alcune risposte”

Professor Andrew Peet, Università di Birmingham

La tecnica messa in atto dal team di ricerca prevede la combinazione di risonanza magnetica di diffusione, esame basato sull’analisi dei movimenti delle molecole d’acqua presenti in un tessuto, e machine learning. Con le scansioni e i dati generati viene estratta una sorta di mappa informativa sul tumore al cervello.

Le immagini, ricavati dalle attrezzature di 12 diversi ospedali e coinvolgendo ben 117 pazienti, sono state prima esaminate da personale medico specializzato e successivamente analizzate dagli algoritmi di AI.

In passato erano stati condotti studi analoghi, ma limitati a singoli centri specializzati: la recente ricerca dimostra invece che è possibile impiegare la tecnica innovativa in molteplici enti ospedalieri. In questo modo si può garantire l’ottimizzazione delle diagnosi di tumore al cervello per molti più piccoli pazienti e, di conseguenza, degli interventi adeguati in caso di malattia.

 

Per approfondire:
Jan NovakNiloufar ZarinabadHeather RoseTheodoros ArvanitisLesley MacPhersonBenjamin PinkeyAdam OatesPatrick HalesRichard GrundyDorothee AuerDaniel Rodriguez GutierrezTim JaspanShivaram AvulaLaurence AbernethyRamneek KaurDarren HargraveDipayan MitraSimon BaileyNigel DaviesChristopher Clark, Andrew Peet (2021), Classification of paediatric brain tumours by diffusion weighted imaging and machine learning, Scientific Reports volume 11, 2987 (2021), https://doi.org/10.1038/s41598-021-82214-3

Da rifiuti dispersi nel Lario a tessili di qualità

Ripulire il Lago di Como dalla plastica: questo l’obiettivo da cui prende avvio il progetto del Gruppo Limonta. E cosa farne di quanto raccolto? Ovviamente prodotti tessili, di elevata qualità. Attualmente in fase di studio, secondo Antonio Brusadelli, Direttore Generale del Gruppo, sarà presto realizzabile.

Grazie alla partnership con Ecotes (esclusivista per l’Italia della multinazionale spagnola Antex per il marchio Seaqual) l’azienda della famiglia Negri con sede a Garbagnate Monastero, potrà produrre sul territorio insubrico tessili di ottima fattura derivanti dai rifiuti raccolti nelle acque del Lario.

 

Seaqual è un’organizzazione che promuove iniziative volte alla pulizia dei mari e degli oceani

 

L’idea, sposata da Ikea, ha portato alla presentazione di Musselblomma, una collezione basata interamente sui principi di economia circolare, che con i suoi prezzi ridotti amplifica la diffusione di stili di vita nel rispetto del pianeta.

Limonta, con il suo marchio torinese Aunde, si è inserita proprio in questo progetto: insieme ad Antex, ha realizzato filati ecosostenibili. E se grazie a Musselblomma si è potuto contribuire a raccogliere parte della plastica dispersa nel Mediterraneo, il Gruppo Limonta punta a creare una propria produzione per la pulizia del Lago di Como.

Sensibilizzare il territorio sulla sostenibilità, non è e non deve essere solo una questione di marketing. Limonta ci prova infatti da tempo, collaborando anche con startup e spinoff universitari: tra questi vi è “Fili pari”, un progetto di open innovation che ha portato alla produzione di tessuti con lo scarto del marmo e di cui abbiamo parlato in un precedente articolo. Riferimento prioritario, l’economia circolare: i materiali di scarto dell’industria della pietra con “Fili Pari” non diventano un problema da smaltire, ma tessuti di qualità ricercati e sostenibili, impiegabili in settori che coinvolgono l’innovazione nel fashion e nell’automotive.

Limonta è inoltre certificata ZDHC, FSC, OEKO-TEX e Global Recycled Standar e si impegna nella costante ricerca per nuovi tessuti e finissaggi integrabili in processi sostenibili, mediante l’utilizzo di componenti naturali o a basso impatto ambientale.

Sono (finalmente) arrivati gli ologrammi 3D generati in tempo reale

La chiave di volta per la realtà virtuale potrebbe risiedere in una tecnologia vecchia di 60 anni: l’olografia

Gli ologrammi regalano un’eccezionale rappresentazione del mondo 3D e, cosa più importante, offrono una prospettiva mutevole in base alla posizione dello spettatore, consentendo all’occhio di regolare la profondità, mettendo a fuoco alternativamente il primo piano piuttosto che lo sfondo. 

Partendo da questo, i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology, hanno generato ologrammi 3D in tempo reale avvalendosi di una rete neurale convoluzionale, una tecnica di elaborazione che utilizza una catena di tensori addestrabili, per imitare approssimativamente il modo in cui gli esseri umani elaborano le informazioni visive. In altre parole, hanno generato immagini 3D tramite una simulazione ottica creata grazie all’intelligenza artificiale

L’addestramento della sopracitata rete neurale è avvenuta attraverso un set di big data creato ad hoc per la ricerca, basato su “scene con forme e colori complessi e variabili”. Il team di ricerca tramite l’utilizzo di 4.000 coppie d’immagini, l’ologramma corrispondente e le informazioni specifiche su colore e profondità delle onde luminose, è riuscito a sviluppare una sorta di configurazione ottica. “Imparando” da ogni coppia di immagini precaricata, la rete ha modificato i propri parametri di calcolo, migliorando così la capacità di generare ologrammi, ottimizzando di volta in volta il risultato finale.

 

Esempio di immagini contenute nel database usato dai ricercatori

 

L’efficienza e la velocità raggiunta – pochi millisecondi per ologramma – ha sorpreso gli stessi componenti del team, aprendo molteplici – seppur ipotetici – scenari di applicazione. Joel Kollin, uno dei principali optical architect di Microsoft, anche se non coinvolto nella ricerca, ha suggerito la possibilità di personalizzare queste visualizzazioni in base alla prescrizione oftalmica di uno spettatore, creando così immagini più nitide di quelle che egli sarebbe in grado di vedere con l’utilizzo di occhiali di correzione per aberrazioni di basso ordine. 

L’olografia 3D in tempo reale potrebbe migliorare una serie di sistemi, dalla stampa 3D volumetrica, alla microscopia, fino ad arrivare alla VR. Il team, guidato da Liang Shi, autore della ricerca e dottorando presso l’EECS – Dipartimento di ingegneria ed informatica del MIT, ha affermato che questo nuovo sistema potrebbe immergere gli spettatori VR in scenari più realistici, eliminando l’affaticamento agli occhi e gli altri effetti collaterali legati all’uso della realtà virtuale a lungo termine. 

La tecnologia potrebbe essere facilmente implementata su display che modulano non solo la luminosità delle onde luminose, ma anche la loro fase e ipoteticamente potrebbe già essere messa a punto per gli ultimi modelli di smartphone. Il lavoro di ricerca è stato supportato in parte anche da SONY

 

Per approfondire:

Shi, L., Li, B., Kim, C. et al. (2021) Towards real-time photorealistic 3D holography with deep neural networks. Nature 591, 234–239 https://doi.org/10.1038/s41586-020-03152-0

Dal polietilene un nuovo tessuto fresco e sostenibile

Quello della sostenibilità è un tema sempre più scottante, in particolare in ambito tessile. L’industria della moda vive un’evoluzione green e la tecnologia riveste un ruolo cruciale nel perseguimento degli obiettivi ecologici. I progetti innovativi sono all’ordine del giorno: impiego della blockchain per certificare capi e componenti, tracciabilità dell’intera supply chain verificata scientificamente, e, soprattutto, ricerca e sviluppo di filati alternativi quali quelli derivati da latte, marmo e legno.

La realizzazione di prodotti tessili richiede la messa in atto di processi estremamente inquinanti, sia per mole di risorse impiegate che per quantità di scarti generati. La ricercaSustainable polyethylene fabrics with engineered moisture transport for passive coolinga cura del Politecnico di Torino e del Massachussetts Institute of Technology (MIT) analizza queste tematiche e propone un’alternativa: la creazione di un nuovo filato tecnico sostenibile dal polietilene.

È concezione comune che i prodotti naturali siano anche i più ecosostenibili, ma lo studio pubblicato su Nature Sustainability dimostra che in ambito tessile questo preconcetto è spesso fallace. L’impatto ambientale di produzione, filatura, tintura, tessitura, così come del semplice processo di lavaggio per materiali quali cotone, lino o seta è fortemente impattante a livello energetico. Inoltre tali tessuti una volta colorati risultano anche difficilmente riciclabili.

Tacciato di nocività per l’ambiente, a conti fatti la produzione di tessuti colorati in polietilene ha un impatto ambientale inferiore del 60% rispetto a quelli in cotone”

Svetlana Boriskina, MIT

A differenza di quanto accade per le fibre naturali, contraddistinte da componenti chimico-fisiche non controllabili, le microfibre dei tessuti tecnici permettono interventi di ingegnerizzazione mirati alla modellazione delle loro caratteristiche, consentendo la realizzazione di tessuti più performanti.

Lo studio del Politecnico di Torino e del MIT ha dimostrato che il polietilene è un materiale alternativo alle fibre naturali valido in termini di sostenibilità e proprietà: oltre all’inferiore impatto ambientale ed economico della sua produzione, la peculiarità della sua struttura ne permette di modificare qualitativamente le caratteristiche meccaniche, termiche e ottiche.

L’azione su tali componenti dà modo di intervenire a favore della resistenza a rotture e abrasioni, della minimizzazione della dissipazione di calore e dell’ottimizzazione delle proprietà antimacchia. Matteo Alberghini, dottorando presso il Dipartimento Energia e il CleanWaterCenter del Politecnico di Torino specifica inoltre Il polietilene vanta un semplice e assodato processo di separazione e riciclaggio industriale: ciò consente di creare nuovi capi anche da materiale riciclato, con un grande potenziale di economia circolare.

Gocce d’acqua su una fibra di polietilene

 Modificando le caratteristiche chimiche di superficie e la forma delle fibre durante il processo di fabbricazione i ricercatori sono inoltre riusciti a migliorare le proprietà di comfort del tessuto, agendo sulle sue proprietà di trasporto dell’acqua. Le fibre di polietilene possono trascinare liquidi sulla propria superficie restando impermeabili, agevolando l’evaporazione del sudore.

Il tessuto ricavato dal polietilene risulta particolarmente igienico grazie ai tempi di asciugatura rapidi. Ciò non solo previene l’insorgenza di batteri, ma ne consente il lavaggio e l’asciugatura con trattamenti a bassa temperatura e di breve durata.

 

Per approfondire:
Matteo Alberghini, Seongdon Hong, L. Marcelo Lozano, Volodymyr Korolovych, Yi Huang, Francesco Signorato, S. Hadi Zandavi, Corey Fucetola, Ihsan Uluturk, Michael Y. Tolstorukov, Gang Chen, Pietro Asinari, Richard M. Osgood III, Matteo Fasano, Svetlana V. Boriskina (2021), Sustainable polyethylene fabrics with engineered moisture transport for passive cooling, Nature Sustainability (2021), https://doi.org/10.1038/s41893-021-00688-5