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Popcorn, ma non solo al cinema: ora sostituirà il polistirolo

Nelle scorse settimane, qui su Osservatorio Innovazione, avevamo parlato della messa a punto di uno speciale rivestimento, biodegradabile e riciclabile, specificamente studiato per la conservazione degli alimenti freschi. Sempre dalla Germania, ed in particolare dalla Georg-August-Universität di Gottinga, arriva una similare proposta di packaging sostenibile, pensata anch’essa come alterativa ecologica alla plastica. 

Il gruppo di lavoro della facoltà di ecologia e scienze forestali, ha trovato nel “popcorn granulato” il sostituto naturale al polistirolo: realizzato con sottoprodotti non commestibili scartati durante la produzione di cornflakes, viene plasmato tridimensionalmente in base al prodotto che dovrà proteggere, per poi essere smaltito, direttamente nel compost casalingo.

Questo nuovo processo, basato su una tecnologia sviluppata nell’industria della plastica, consente la produzione di un’ampia gamma di parti stampate.

Questo è particolarmente importante quando si considera l’imballaggio perché garantisce che i prodotti vengano trasportati in modo sicuro, riducendo al minimo gli sprechi. E tutto questo è stato ottenuto utilizzando un materiale che sarà anche biodegradabile in seguito

Queste la parole del professor Alireza Kharazipour, a capo del gruppo del lavoro.

L’Ateneo, dopo anni di ricerca e di test sul prodotto, ha ora siglato un accordo di licenza con la società Nordgetreide, operante in tutta Europa nella trasformazione alimentare dei cereali, per l’utilizzo commerciale nel settore packaging del processo – e del prodotto – messo a punto dai ricercatori. 

Oggi, l’industria dell’imballaggio, è ancora il più grande acquirente di prodotti in plastica, con quasi il 40% del totale. Nonostante ciò, il packaging moderno deve soddisfare non solo requisiti tecnici ed estetici, ma deve rispondere anche ad una richiesta di mercato sempre più focalizzata alla sostenibilità.

Ma cosa significa realmente per un imballaggio essere sostenibile? Significa che il materiale utilizzato deve essere ecologico e realizzato con risorse rinnovabili, essere abbastanza robusto da consentire anche un suo riutilizzo ed essere facile da riciclare quando arriva alla fine della sua vita utile. 

L’Intelligenza Artificiale per la progettazione di violini

Abbiamo molte volte raccontato delle più diverse applicazioni che l’Intelligenza Artificiale sta via via conquistando, in ambiti sempre più disparati. Ora sarà possibile non solo realizzare dei violini quasi perfetti, ma addirittura scoprire ancor prima di costruirne uno il suono che produrrà.

Questa novità tecnologica e costruttiva è stata dimostrata da uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports dai ricercatori del Musical Acoustics Lab del Politecnico di Milano, ospitato all’interno del Museo del Violino di Cremona.

In questo studio, il fisico e liutaio Sebastian Gonzalez e il mandolinista professionista Davide Salvi hanno dimostrato come, attraverso l’utilizzo di una rete neurale molto semplice, sia possibile predire con precisione il comportamento vibratorio di tavole di violino a partire da una serie di parametri.

L’idea è scaturita partendo da un disegno presente nella collezione del Museo del Violino di Cremona. 

 

Per poter utilizzare gli algoritmi di Intelligenza Artificiale per lo sviluppo di violini, il primo passo è stato quello di realizzare un modello che permettesse di creare la forma esterna del violino. A questo, si è aggiunto un modello basato sulla curvatura del violino Messia di Stradivari. Il risultato finale è costituto da un violino caratterizzato da 35 principali parametri legati a raggio, bombatura, e via dicendo.

Da qui si è potuto procedere con l’addestramento dell’algoritmo: si è dunque costruito un database contenente i disegni ottenuti variando uno o più dei 35 parametri del modello precedente, al quale si sono aggiunti poi ulteriori modelli derivati da violini storici costruiti negli anni dai grandi maestri liutai.

Disegnata la forma, con l’utilizzo di avanzati strumenti di modellazione vibratoria si è potuto andare a determinare il comportamento acustico di ogni violino presente nel database creato.

Tale elevata quantità di dati, è stata data in pasto all’algoritmo di Intelligenza Artificiale, che ha consentito di individuare con un’accuratezza pari al 98% il comportamento acustico di ogni violino a seconda della scelta di modificare uno o più parametri.

La professione del liutaio non è mai stata così smart: al sapiente lavoro delle mani artigiane, va ora infatti ad integrarsi la possibilità di conoscere anticipatamente il suono della loro prossima creazione, ancora prima di averla realizzata. A prova di violinisti molto esigenti!

 

Per approfondire:

Gonzalez, S., Salvi, D., Baeza, D., Antonacci, F., Sarti, A (2021) A data-driven approach to violin making, Scientific Reports, vol. 11, Article No. 9455
https://doi.org/10.1038/s41598-021-88931-z

Sophia: l’androide che prova emozioni

Sophia è un androide dalle sembianze umane sviluppato e realizzato dalla società cinese di robotica Hanson Robotics che lo ha presentato e lanciato sul mercato nel 2015.

Oltre ad essere il primo robot ad avere un passaporto (l’Arabia Saudita le ha concesso la cittadinanza) ora è anche il primo androide ad aver dipinto un suo autoritratto.

È stato battuto e venduto all’asta per 688.888 dollari. Per poter eseguire in modo autonomo il proprio ritratto, l’algoritmo che governa Sophia è stato addestrato attraverso l’utilizzo di diversi suoi ritratti eseguiti dall’artista Andrea Bonaceto. Grazie a questi l’androide ha rielaborato i vari ritratti realizzando un autoritratto completamente in modo autonomo.

Capace di farsi un autoritratto, il robot riesce a riprodurre ben 62 espressioni facciali umane ed è anche in grado di sostenere delle conversazioni per la maggior parte pilotate, attraverso delle frasi di risposta preimpostate, ma anche con risposte elaborate totalmente dagli algoritmi di AI.

Per poter comprendere ciò che viene detto e, di conseguenza, elaborare la risposta più adatta, vengono utilizzate diverse tecniche tra cui l’AI simbolica, le reti neurali, elaborazione del linguaggio naturale conversazionale, il controllo motorio per il movimento degli arti e un’architettura cognitiva. Ogni risposta che viene data può essere diversa dalla precedente poiché gli algoritmi di AI possono essere utilizzati e combinati in modo diverso.

Al fine poi di riconoscere l’ambiente circostante e l’utente con cui sta avendo un dialogo, è dotato di due telecamere posizionate negli occhi che le consentono di identificare il volto e il movimento della persona e regolarsi di conseguenza. Negli ultimi anni è stata dotata anche di due gambe e due braccia mobili, così da permetterle di muoversi liberamente e seguire il soggetto con cui sta dialogando.

Ambiasciatrice dell’innovazione robotica alle Nazioni Unite, si prevede che presto sarà in grado di addentrarsi nel mondo reale e in situazioni quotidiane con più dimestichezza, sino divenire risorsa utilizzabile in medicina, nell’istruzione, nella ricerca scientifica, ecc. Il processo di miglioramento è continuo grazie alla raccolta dei dati delle varie conversazioni con il conseguente miglioramento degli algoritmi che porterà Sophia, prima o poi, alla completa autonomia.

Proteine e cere vegetali per un food packaging sostenibile

La tedesca Fraunhofer-Gesellschaft, fondata nel 1949, è attualmente la principale organizzazione di ricerca applicata al mondo, con oltre settanta sedi solo in Germania ed oltre 29.000 dipendenti tra ingegneri e scienziati. Il gruppo Fraunhofer permette lo sfruttamento commerciale delle proprie ricerche ad aziende ed industrie, svolgendo così un ruolo centrale nella spinta all’innovazione.

Oggi facciamo riferimento ad una delle loro ultime pubblicazioni di ricerca, seguita in prima linea dai ricercatori del Fraunhofer Institute for Process Engineering and Packaging di Frisinga in Baviera, e del Fraunhofer Institute for Interfacial Engineering and Biotechnology di Stoccarda. All’interno del progetto “BioActiveMaterials è stata trovata una soluzione innovativa e sostenibile per il packaging alimentare: un rivestimento ecologico per imballaggi in carta, a base di proteine e cere vegetali, adatta al contatto con il cibo e idonea al conservazione della frutta come della carne. Riciclabile poi assieme ai comuni rifiuti cartacei, questa soluzione è nata al fine di ridurre gli imballaggi in plastica nel settore alimentare.

La speciale formulazione di questo rivestimento, è stata creata con “tecniche di laboratorio convenzionali” quali frantumazione, riscaldamento, agitazione e miscelazione di proteine e cere vegetali. Le proteine – prese in prestito da colza, lupini, siero di latte o girasoli – impediscono la permeazione di oli minerali dalla carta al cibo e cosa più importante, agiscono come uno strato barriera all’ossigeno; le cere invece formano una resistenza al vapore acqueo. Assieme, questi additivi bio based hanno un effetto antiossidante ed antimicrobico, caratteristiche perfette per una incarto alimentare. 

I ricercatori, già durante le selezioni delle materie da utilizzare, in un’ottica di circolarità hanno ricavato gli elementi proteici da scarti agricoli comuni, mentre in base alla reperibilità sul mercato, hanno selezionato alcune cere vegetali dal Messico e dal Brasile, rispettivamente dai cespugli di candelilla e da una specifica varietà di palme. 

Nel processo di patinatura, la carta viene guidata su rotoli e dotata dei “Materiali BioActive” tramite dispersione acquosa | IMG: Fraunhofer.de

Questa speciale carta patinata, biodegradabile e riciclabile, è adatta alla conservazione di tutti gli alimenti, anche surgelati. Il rivestimento può essere applicato a carta e cartone con tecnologie roll-to-roll standard e supporta la tradizionale stampa con inchiostri: ovviamente, si perderebbe la caratteristica trasparenza dei film plastici, ma si guadagnerebbe in termini di durata e qualità di conservazione. Il gruppo di lavoro, è convinto che l’adozione di questa pratica di confezionamento, porterebbe vantaggi ai produttori, come ai rivenditori ed ai consumatori, data l’attenzione crescente ai nuovi imballaggi, efficienti sotto il profilo delle risorse, biodegradabili e privi di plastica. 

I ricercatori delle due divisioni sopracitate, stanno già sperimentando l’applicazione di questo rivestimento – edibile a tutti gli effetti – direttamente sugli alimenti. 

Micro plastiche: dagli oceani alle nostre case per l’isolamento termico ed acustico

Abbiamo in precedenza parlato dell’interessante progetto realizzato dal Gruppo Limonta per ripulire le acque del Lago di Como e produrre tessili di elevata qualità.

Il tema delle microplastiche diviene sempre più prioritario: l’elevato consumo di plastica implica un’enorme produzione di rifiuti che sempre più impattano gli ambienti marini minacciando la biodiversità e la sopravvivenza di molte specie ittiche. Si tratta di micro particelle, difficili da recuperare in ottica di circolarità a causa non solo delle loro dimensioni ma anche della presenza al loro interno di sostanze differenti quali polimeri diversi o comunque polimeri “inquinati” dal sale o altre sostanze marine.

Con l’obiettivo di muovere decisi passi verso la soluzione di queste problematiche, Marco Caniato, ricercatore della Facoltà di Scienze e Tecnologie dell’Università di Bolzano, ha ideato, sviluppato e brevettato un nuovo biopolimero completamente eco-compatibile, in collaborazione con l’Università di Trieste.

Abbiamo dimostrato che un approccio sostenibile, più pulito ed ecologico, può essere usato per riciclare i rifiuti marini e per costruire un materiale ecologicamente ed economicamente conveniente

Queste le parole dell’inventore nell’evidenziare le principali peculiarità del prodotto: a base di materie plastiche derivanti dai più comuni rifiuti domestici quali il polietilene, le bottiglie di tereftalato, il polistirolo espanso e schiumato, è stato miscelato con l’estratto di un’alga e il carbonato di calcio. L’alga, o meglio l’alga rossa agar agar, è stata selezionata in quanto ricca di un polisaccaride utilizzabile come gelificante naturale.

I campioni derivanti dalla miscelazione, dopo una prima fase di gelificazione vengono congelati a -20° per 12 ore. Infine, viene avviato un processo di liofilizzazione per la totale rimozione dell’acqua. Ma niente viene sprecato! Nel perseguimento del più elevato livello di eco-compatibilità il processo prevede il totale riciclo dell’acqua raccolta.

Un processo sostenibile per la creazione di un prodotto sostenibile è quindi l’oggetto dell’invenzione di Marco Caniato. Il risultato è un biopolimero molto poroso utilizzabile nell’edilizia, degno sostituto della lana di roccia o del poliuretano espanso.

I primi test sulle caratterizzazioni del prodotto, hanno inoltre evidenziato soddisfacenti esiti sia in termini di isolamento termico che di isolamento acustico.

 

Per approfondire:

Caniato, L. Cozzarini, C. Schmid, A. Gasparella (2021) Acoustic and thermal characterization of a novel sustainable material incorporating recycled microplastic waste, Sustainable Materials and Technologies, Vol 28, https://doi.org/10.1016/j.susmat.2021.e00274

Progetto TRAME: la sostenibilità della filiera moda punta sulla blockchain

Nelle scorse settimane, abbiamo parlato di come alcuni grandi marchi del settore luxury, abbiano deciso di valorizzare i loro prodotti grazie all’adozione della tecnologia blockchain, certificandone così gli standard rigorosi e soprattutto accrescendo la loro aurea di creatori di oggetti senza tempo.

Approfittando dell’interesse crescente nei confronti di questa tecnologia, dalla spinta del textile firmato Made in Italy, dalla sempre più forte impronta sostenibile inseguita dal settore moda, è nato nel 2020 il progetto TRAME. Obiettivo? Aumentare la sostenibilità della filiera tessile tramite una riorganizzazione dei flussi produttivi tra i vari stakeholder, e come anticipato, introducendo la tecnologia blockchain.

Come oramai è noto, la blockchain utilizza tecniche criptografate per registrare e sincronizzare i dati lungo una “catena di blocchi”. Ogni operazione eseguita, di qualunque genere, viene immutabilmente memorizzata da molteplici reti distribuite, garantendone così la completa tracciabilità e la resistenza alla manomissione. Quest’ultima verrebbe infatti registrata cronologicamente assieme a tutte le altre operazioni e verrebbe salvata in uno storico azioni immodificabile.

Il progetto TRAME, TRacciabilità in blockchain per la sostenibilità AMbientale, Energetica ed economica” punta così alla totale trasparenza dei dati per combattere l’insostenibilità del settore tessile su più fronti. La raccolta e il monitoraggio costante di dati puliti potrebbe abbattere scarti di prodotto e consumi energetici negli impianti di produzione, ma anche responsabilizzare le aziende in scelte più socialmente etiche e sostenibili. Blockchain non è solo tracciabilità, ma anche e soprattutto volontà di condivisione e trasparenza.

Il collegamento documentale in blockchain potrà fornire accesso ai dati direttamente agli enti di certificazione, riducendo tempi e costi delle verifiche periodiche. Si valorizzerà al massimo l’appartenenza al Made in Italy, portando valore aggiunto sia ai diversi componenti della filiera – i quali potranno dimostrare qualità ed “italianità” – sia al cliente finale, il quale potrà avere accesso a queste informazioni e calibrare al meglio le sue scelte.

Le quattro aziende lombarde coinvolte in partenariato – Top Digitex, SAIT, Foodchain e Tessitura Uboldi – si aspettano di ottenere un miglioramento sui seguenti fronti:

  • Diminuzione degli scarti di produzione;
  • Diminuzione di costi ed attività destinate alla raccolta di dati;
  • Ottimizzazione della produzione;
  • Miglioramento delle vendite, grazie ad un nuovo posizionamento concorrenziale ed alla crescente attenzione del consumatore ai temi di sostenibilità ed etica sociale.

 

 

Innovazione inserita nell’intero processo sopra descritto, sarà la tokenizzazione del risparmio: i tagli ai consumi come la riduzione degli sprechi, verranno trasformati in crediti virtuali, custoditi e scambiabili su blockchain. Così facendo, si implementerà un sistema di ricompensa per la riduzione dei consumi, nell’ottica di incentivazione proprio di quest’ultima: più un’azienda sarà sostenibile, più avrà incentivi ad esserlo, e di pari passo crescerà il suo valore percepito.

L’ambizioso scopo finale del progetto, è arrivare allo sviluppo di un modello di filiera sostenibile e standardizzabile per l’intero settore tessile. Oltre ai partner, sono stati infatti coinvolti diversi interlocutori esterni – tintorie, enti certificatori, controllo qualità, finissaggi – i quali hanno dimostrato forte interesse ed aspettativa.

Scoprire l’impatto sostenibile di un prodotto alimentare? Facile, grazie agli open data

La nuova piattaforma digitale “Water To Food” rappresenta la strategia di comunicazione dei risultati legati al progetto di ricerca CWASI – Coping with water scarcity in a globalized world – finanziato dall’European Research Council e guidato da Francesco Laio, professore di idrologia presso il Politecnico di Torino. 

Il progetto CWASI, conclusosi nel 2020, ha affrontato il problema della globalizzazione delle risorse idriche, concentrandosi sul suo consumo ed utilizzo nella produzione alimentare. Tra i numerosi obiettivi, gli sforzi di ricerca si sono focalizzati anche sull’analisi dell’impronta idrica dell’agricoltura e sulla dinamica dei flussi di “acqua virtuale” associati al commercio globale dei prodotti. 

Il tutto, al fine di avere un quadro completo e dati interessanti per un’esatta valutazione dell’uso dell’acqua per la produzione nello spazio e nel tempo, diversi prodotti alimentari cruciali, secondo l’indicatore Water Footprint. 

Water To Food, vuole essere punto di riferimento per altri ricercatori, ma più di tutto, vuole mettere a disposizione della società i dati riguardanti l’acqua virtuale sopracitata, ovvero l’acqua che, prelevata da una nazione per coltivare e lavorare un determinato bene, si sposta dal posto di produzione al posto di consumo”. 

I dati raccolti dal 2015 nel corso del progetto CWASI, hanno contribuito in modo rilevante ad arricchire ed aggiornare la letteratura sul tema. Solo dopo, la decisone di raccoglierli su questa piattaforma, rielaborandoli per essere fruibili ad un ampio target, grazie alla loro organizzazione in infografiche interattive.

L’idea di divulgare sotto questa forma i risultati ottenuti, è nata da Benedetta Falsetti, Carla Sciarra e Marta Tuninetti, tre giovani ricercatrici del Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture del Politecnico di Torino. Durante l’ultimo anno, hanno lavorato al fianco di un team di esperti in comunicazione, cercando una via per passare informazioni complesse in maniera semplice ed immediata. 

Water To Food è pensato proprio per chi, essendo curioso ed attento su questi temi e volenteroso di ridurre l’impatto sulle risorse idriche della sua dieta, possa accedere in maniera rapida e facile ad un vasto database di informazioni, che possano aiutare nella scelta degli acquisti e promuovendo così un consumo di acqua più sostenibile…

Un esempio: sapete quanti metri cubi d’acqua virtuale si porta dietro l’acquisto – in Italia – di un frutto kiwi proveniente dal Sudafrica, piuttosto che dal Cile? Stiamo parlando di 7.324 metri cubi per il primo, a di 5.487.240 metri cubi per il secondo (dato 2016).

Ovviamente esistono relazioni complesse tra i fattori che determinato l’impronta idrica e possono dipendere dal clima come dalle pratiche agricole più o meno all’avanguardia, ma anche da cambiamenti demografici e dalle dinamiche di mercato. Tutti aspetti che sono stati indagati grazie al progetto CWASI.

Le tradizionali cassette postali rosse si rinnovano

In una società sempre più digital in cui anche la nonna fa videochiamate, cartoline, francobolli e lettere ci appaiono come strumenti di comunicazione sempre più dimenticati, ormai remoti e lontanissimi nel tempo.

Da quanto tempo non imbuchiamo una busta in una cassetta delle lettere?

Faremmo bene a farlo presto: non solo per il gusto di rispolverare vintage passioni epistolari, ma anche per riscoprire le iconiche cassette rosse italiane, nella loro nuova versione smart. Invariata la veste, interamente rinnovata la sostanza: sono infatti dotate di display “e-ink”, ad inchiostro elettroforetico.

Da oggi non sono più solo uno strumento passivo dove il cliente imbuca la corrispondenza ma diventa uno strumento “parlante” sempre connesso con internet.

Queste le parole di Gabriele Marocchi, responsabile Ingegneria di Poste Italiane.
Grazie alla presenza di alcuni sensori al suo interno sarà innanzitutto possibile ottimizzare il ritiro della corrispondenza, in quanto capaci di rilevare la presenza della posta da ritirare. Una funzionalità attualmente disponibile per circa 350 cassette distribuite sul territorio nazionale.

 

 

E non solo: sempre connesse ad internet potranno fornirci una quantità di informazioni che mai avremmo immaginato. I sensori di cui dispone sono infatti in grado di rilevare anche dati ambientali, dalla temperatura attuale, al livello di umidità, la presenza di polveri sotti, sino alla quantità di biossido di azoto, e trasmetterli sul display di cui è dotato al fine di sensibilizzare i cittadini alle tematiche ambientali ed aiutare le amministrazioni pubbliche a prendere decisioni importanti in ottica di sostenibilità.

Grazie alla collaborazione con la startup Wiseair del Politecnico di Milano nata nel 2018, si cerca ora di valorizzare ancor più i dati raccolti sulla qualità dell’aria.

Attualmente posizionate in pieno centro di Milano, andranno presto ad essere installate  anche a Torino, Roma, Napoli, per un totale di 100 cassette intelligenti.

Si stima che nel 2022 questo numero sarà decisamente incrementato fino a raggiungere quota 12 mila, distribuite sul territorio italiano.

Tecnologie per i beni culturali: AI alla scoperta di nuovi siti archeologici

In diverse occasioni, qui su Osservatorio Innovazione, abbiamo raccontato di progetti di ricerca basati su machine learning ed addestramenti di reti neurali profonde. Passando dalla prevenzione medica, all’ottimizzazione di ologrammi, questi studi partivano sempre da specifici set di big data, i quali permettevano all’intelligenza artificiale di imparare e far esperienza.

Il progetto del quale parleremo oggi, non avrà invece le stesse basi di partenza. 

L’Istituto Italiano di Tecnologia e l’Agenzia spaziale Europea, collaboreranno per due anni al fine di identificare, utilizzando le immagini satellitari, siti archeologici non ancora portati alla luce. Cultural Landscapes Scanner – questo il nome del progetto, partirà con pochissimo materiale fruibile e con l’ambizioso obiettivo della fotointerpretazione automatica. 

Non essendoci dunque un database di immagini archeologiche adeguate, il team di ricerca, guidato da Arianna Traviglia, dovrà sviluppare un’intelligenza artificiale basata su particolari algoritmi, in grado di analizzare immagini satellitari multispettrali, e da queste, individuare piccole alterazioni della vegetazione che possano indicare la presenza di resti nel sottosuolo.

La biomassa vegetale, con immagini in “verocolore” non mostra alcuna traccia di ciò che potrebbe nascondersi nel sottosuolo, ma un telerivelamento con spettro infrarosso, potrebbe individuare strutture solide interrate, quali edifici dei Romani, tracce di colonie della Magna Grecia o anche antiche costruzioni Etrusche. Tutto nascosto, ma individuabile attraverso firme spettrali rivelate grazie alla biomassa vegetale. 

Cerchiamo tracce invisibili all’occhio umano, che mostrino la presenza di stratigrafia archeologica. […] La cosa importante non è tanto scavare qualsiasi cosa ci sia sotto, quanto sapere che c’è: magari per progettare diversamente il passaggio di un’autostrada, oppure organizzare investimenti per proteggere l’area

Arianna Traviglia,
Researcher and Coordinator of IIT Centre for Cultural Heritage Technology (CCHT)

Queste informazioni potrebbero dunque avere usi e scopi diversi, dall’identificazione di scavi non autorizzati a diverse applicazioni di archeologia preventiva. Non solo informatica quindi, ma anche storia, archeologia e geologia… Un progetto estremamente complesso che finora nessuno è riuscito a realizzare, che “verrà affrontato con interdisciplinarità e fantasia”. 

Questo progetto (si ipotizza) potrà portare ad un possibile servizio anche per la piattaforma Copernicus, il programma di osservazione della Terra dell’Unione Europea.

Cooperazione tra marchi del lusso in nome della sostenibilità

La Blockchain non è nuova nel mondo del Fashion. In un precedente articolo parlammo del progetto Voyage di Burberry, in corso di realizzazione da parte di un gruppo di studenti in stage in IBM. Il prototipo realizzato si prefiggeva il generale obiettivo di migliorare i livelli di sostenibilità nel tessile.

Stesso obiettivo, marchi diversi, alla guida dell’Aura Blockchain Consortium fondato dalle tre maison del lusso: Lvmh, Richemont e Gruppo Prada, in partnership (per la parte tecnologica) con ConsenSys e Microsoft. Competitor diretti, uniti nel nome del consumatore.

C’è più valore nel collaborare che nel competere. Una cosa non esclude l’altra […] ma sul fronte tecnologico e in particolare sull’utilizzo della blockchain nell’alta gamma, unire le forze è il modo migliore di usare le energie creative e la visione del futuro che tutti abbiamo.

Queste le parole di Lorenzo Bertelli, Head of Marketing e Head of Crs del Gruppo Prada.

Prioritaria è la centralità del Cliente nell’ottica di fornire lui informazioni sempre più dettagliate ma anche certificate o certificabili sull’autenticità dei prodotti e sulla sostenibilità. Sapere che un capo è autentico, ma soprattutto che è stato confezionato mediante un approvvigionamento responsabile e sostenibile è possibile, grazie alla blockchain, ovvero la “catena di blocchi”, una struttura di dati condivisa e immutabile, la cui integrità è garantita dall’utilizzo della crittografia.

La blockchain è una tecnologia chiave per migliorare il servizio clienti, il rapporto con i partner e la tracciabilità dei prodotti.  L’industria del lusso realizza oggetti senza tempo e deve garantire che standard rigorosi perdurino e rimangano in mani fidate.

Con queste parole Cyrille Vigneron, Presidente e CEO di Cartier International e membro del Cda e del Senior executive commitee di Richemont invita altre maison ad unirsi al Consorzio.

auraluxuryblockchain.com

Attualmente, oltre ai marchi fondatori, hanno aderito ad Aura Consortium anche Cartier, Hublot e Louis Vuitton già attivi sulla piattaforma, ma altri brand stanno cercando di farne parte.

L’idea è quella di andare poi oltre al fashion ed aprire anche ad altre maison e gruppi di alta gamma appartenenti a settori attigui, come l’automotive. Questo sarà reso possibile anche dalla struttura stessa di Aura, molto flessibile ed in grado di adattarsi a dimensioni diverse e ad esigenze diverse, in grado dunque di rispondere non soltanto alle richieste dei grandi gruppi del fashion.