Un tema sempre più ricorrente: ne abbiamo parlato anche qualche settimana fa e crediamo finiremo per parlarne sempre di più.
Il binomio sostenibilità e innovazione, nel tessile, diventa sempre più concreto e sempre meno caratterizzante la fase di green washing degli anni scorsi.
Una sostenibilità tangibile che grazie all’innovazione raggiunge livelli sempre più elevati: questa volta il protagonista è la Candiani Denim, Azienda di tessuto di jeans sita in Robecchetto con Induno in provincia di Milano. Presieduta da Alberto Candiani, quarta generazione della famiglia fondatrice cui deve i natali nel lontano 1938, sta ora muovendo nella registrazione di un brand completamente ecosostenibile.
Grazie alla collaborazione con l’austriaca Lenzing specializzata nelle fibre di cellulosa da legno, è riuscita nella creazione di una nuova collezione che vede la miscelazione tra il tessuto stretch biologico Coreva e la fibra di cellulosa derivata dalla canapa.
Una Limited Edition che ha combinato il denim in tessuto che si converte in humus, aumentando la fertilità del terreno del 20%, frutto di un precedente Progetto da cui era nata Coreva, insieme al Tencel di Lenzing, una nuova fibra cellulosica totalmente “Tree-Free”, completamente alternativa alla polpa di legno.
La canapa è infatti la vera protagonista: ne risulta così un tessuto morbido e molto confortevole oltre che altamente sostenibile grazie alle caratteristiche principali del vegetale da cui deriva, ovvero una pianta spontanea che cresce molto velocemente, riducendo praticamente a zero l’impatto derivante da un suo utilizzo.
Julia Ulrich, project manager di Lenzing, evidenzia come
Purtroppo il fashion system ha dato adito a un processo di green washing che è paradossalmente più dannoso della stessa sovrapproduzione, perché convince il consumatore di star acquistando un capo equosolidale, quando invece non lo è.
E proprio nella direzione opposta al green washing si sta attentamente ponendo Candiani
[…] siamo stati pionieri nell’eco-sostenibilità nel nostro segmento perché producendo in Italia, dove i costi industriali sono elevati, abbiamo dovuto curare maniacalmente l’efficienza per sopravvivere, ovvero consumare il meno possibile ed ingegnerizzarci per realizzare una produzione ottimizzata che risparmiasse materie prime, prodotti chimici e acqua o che combinasse al cotone altre fibre, possibilmente naturali o riciclate, per rendere sostenibile la nostra economia d’azienda. Un processo iniziato già con mio padre, e ancor prima con mio nonno, che ai loro tempi erano già ossessionati dalle nuove tecnologie.
Una filiera, quella del jeans, caratterizzata da sempre da un impatto marcato sia sull’ambiente con i suoi elevati consumi di acqua e materiali, che sul personale (basti pensare al processo di sabbiatura per dare l’”effetto usura” sul jeans – e la correlata inalazione di polveri – oggi sostituita con il laser).
È per questi motivi, ovvero per la complessità del processo, che serve l’impegno di tutti: progettazione, tintura, filati, post-trattamenti, ed ultimi ma decisivi i consumatori.