Innovare, alle volte, significa anche trovare nuove applicazioni per tecnologie già esistenti. Di questo parleremo oggi, raccontandovi l’ultimo progetto seguito dal professor Christofer S. Ruf.
Ricercatore principale della missione CYGNSS – CYclone Global Navigation Satellite System della NASA, già nel 2016 aveva dato il suo fondamentale contributo nella ricerca di un nuovo approccio per la raccolta di dati, al fine di prevedere e comprendere meglio il fenomeno degli uragani. Per far questo, la NASA mandò in orbita otto micro satelliti, i quali, sfruttando la tecnologia GPS, riuscivano a registrare dati preziosissimi legati alla velocità dei venti oceanici.
Qualche giorno fa, il professor Ruf – assieme alla studentessa Madeline C. Evans – ha pubblicato un documento intitolato “Towards the Detection and Imaging of Ocean Microplastics with a Spaceborn Radar”, nel quale si fa riferimento ad un nuovo utilizzo delle tecnologie e dei dati già esistenti per CYGNSS: individuare attraverso un radar le isole di micro plastiche oceaniche, fornendo una cronologia sul dove entrano in acqua, dove si spostano e perché.
Le misurazioni sulla velocità del vento effettuate con i radar satellitari in prossimità di uragani e cicloni, hanno permesso al team di Ruf di notare un’interessante alterazione dei rilevamenti causata dalla presenza di materiale galleggiante in superficie. Questo fenomeno non è però da ricondurre alle micro plastiche, quanto alle sostanze tensioattive, cioè composti oleosi o saponosi capaci di abbassare la tensione superficiale della acque. “Fortunatamente” plastiche e tensioattivi si raccolgono e viaggiano influenzati dagli stessi agenti, creando così agglomerati comuni di raccordo.
Da queste prime osservazioni, Ruf decise di usare questi cambiamenti di reattività per testare l’ipotetica previsione di elementi galleggianti di scarto. Confrontando i dati raccolti all’interno di CYGNSS con le segnalazioni reali dei pescherecci a strascico – fino ad oggi gli agenti di tracciamento principali – il team ha potuto verificare l’effettiva validità dell’approccio testato.
Dalle prime analisi, sono state anche osservate concentrazioni globali differenti di microplastiche in base alla stagione: ad esempio, tra i mesi di giugno e luglio, nell’emisfero settentrionale si ha una massiccia quantità di rifiuti nella zona di convergenza comunemente chiamata “great Pacific garbage patch”, un enorme accumulo di plastica galleggiante già identificato da anni. Mentre, nell’emisfero australe, le più grandi concentrazioni si verificano tra gennaio e febbraio.
Siamo ancora all’inizio del processo di ricerca, ma spero che questa possa essere parte di un cambiamento fondamentale nel modo in cui tracciamo e gestiamo l’inquinamento da microplastiche
Gli intenti di Ruf, sono quelli di passare queste preziose informazioni alle organizzazioni che ripuliscono gli oceani, ottimizzandone così sforzi e risultati. Ma non solo: questo monitoraggio potrebbe essere preziosissimo anche in termini di prevenzione. Evidenti sono le immagini che descrivono come queste micro plastiche arrivano agli oceani, passando anche dalle foci… Primo fra tutti il fiume Yangtze (Shanghai), a lungo sospettato di essere una delle vie principali di scarico, ha registrato nei mesi di monitoraggio un discreto quantitativo di micro plastiche così rigettate negli oceani.
Sono già partite le trattative tra i ricercatori e la famosa no-profit olandese The Ocean Cleanup.
Per approfondire:
Evans, M. C., Ruf, C. S., (2021) Toward the Detection and Imaging of Ocean Microplastics With a Spaceborne Radar, IEEE Transactions on Geoscience and Remote Sensing, pp. 1-9, doi: 10.1109/TGRS.2021.3081691.