client-image
client-image
client-image
Home Blog

Progetto STAR: sostenibilità per il pianeta e supporto per gli agricoltori

Come sappiamo, il settore agricolo in Italia rappresenta una risorsa importante per il Paese: oltre a contribuire al 2,1% del PIL, impiega circa il 4% della popolazione. Da tempo, questa categoria evidenzia alcune criticità, e mai come oggi questo dibattito finisce in prima pagina sui giornali. L’adozione di pratiche agricole più sostenibili, la minimizzazione degli sprechi, la conservazione delle risorse e l’innovazione tecnologica – che spesso fatica ad essere implementata – si scontrano con i cambiamenti climatici in corso, la continua degradazione del suolo e le direttive europee che non sempre trovano il favore dei lavoratori coinvolti.

In questo contesto, dove l’obiettivo finale comune è quello di accompagnare l’agricoltura verso una transizione più ecologica, si colloca il Progetto STAR – SusTainable AgricultuRe. Tale iniziativa mira a sviluppare sistemi molecolari capaci di migliorare l’efficacia di alcuni agrochimici, consentendo così un loro dosaggio significativamente più basso nei campi. Con lungimiranza, Silvia Gazzola, ricercatrice presso il Dipartimento di Scienza e Alta Tecnologia dell’Università dell’Insubria e responsabile del Progetto, punta a soddisfare le esigenze degli agricoltori preservando allo stesso tempo la salute del pianeta e delle persone.

“L’erbaccia ha diverse barriere che rendono molto inefficiente l’assorbimento degli erbicidi…” spiega la ricercatrice, semplificandone il concetto. “Se l’erbaccia in questione ne deve assorbire 10 grammi per essere effettivamente estirpata, ora bisogna applicarne 100 grammi per fare in modo che almeno 10 ne vengano assorbiti… I restanti 90 grammi sono costi e inquinamento inutili. […] Crediamo che il progetto STAR renderà effettivamente più efficienti gli agrofarmaci nel controllo delle popolazioni di erbe infestanti che rispetterà le restrizioni europee derivanti dalla salvaguardia del nostro pianeta”.

Il Progetto STAR ha ottenuto un sostegno economico significativo grazie al FISA – Fondo Italiano per Scienze Applicate, arrivando tra i 30 Progetti selezionati su quasi 500 in lizza. Questo finanziamento, pari a un milione di euro usufruibile in quattro anni, sarà utilizzato per condurre le ricerche necessarie nell’ambito specifico del Progetto.

Presso la sede comasca dell’Università dell’Insubria, verranno impiegati un dottorando e diversi ricercatori per sostenere e promuovere gli obiettivi stabiliti. Si prevede sia una fase di test in laboratorio in Germania, sia una fase successiva, in campo, in Italia. Cruciale, la collaborazione con il ricercatore David Barber, membro della Weed Control Think Tank presso la Bayer AG, Divisione Crop Science, di Francoforte sul Meno.

Da Nova Milanese l’Intelligenza Artificiale al servizio dell’ottimizzazione logistica

L’organizzazione della movimentazione della merce richiede, soprattutto per le grandi aziende di logistica, un grande impiego di risorse umane, economiche e di mezzi. Mezzi che, movimentandosi, hanno peraltro un notevole impatto anche e soprattutto sull’ambiente.

Proprio nella direzione di andare ad ottenere processi più efficienti, nasce l’idea con base in Brianza, a Nova Milanese, di Filippo Tamburini, Cosmo Valentino, Erica Pezzica e Alessandro Salvetti, 4 ingegneri con esperienze diverse, dalla consulenza manageriale, alla supply chain software, sino allo sviluppo software. Il team, mosso dal comune intento di implementare algoritmi di intelligenza artificiale ha dato avvio nel 2020 alla startup Cargoful, che ha potuto godere dapprima dell’accelerazione da parte di B4i – Bocconi for innovation e poi, dal 2021, ha potuto sfruttare investitori quali l’Università Bocconi, Smeup (azienda di Brescia che si occupa di sviluppo software) insieme a Skydeck, un acceleratore dell’Università di Berkeley, in California.


Il software
, il cui sviluppo è stato avviato nel 2020, è sul mercato dal mese di maggio del 2023, può essere acquistato dietro pagamento di un abbonamento mensile e consente di andare a programmare le consegne, la movimentazione dell’intera flotta, pianificando gli itinerari nella maniera più efficiente possibile: il tutto andando a collettare i dati provenienti dalle stesse flotte delle aziende Clienti ed andandoli ad elaborare mediante algoritmi di intelligenza artificiale.

Si chiama Cargoful, tecnicamente si definisce Transportation Management System, e va a calcolare con l’utilizzo di algoritmi di intelligenza artificiale la migliore combinazione di dati per l’ottimizzazione dell’itinerario, dei tempi di carico, di scarico, la saturazione dei mezzi e il personale impiegato.

Sarà poi dunque l’algoritmo a programmare le consegne, anche andando a prevedere quali ordini saranno consegnati e quando, quali in ritardo, suggerendo modifiche anche mediante notifiche in tempo reale.

Stando ai risultati monitorati dagli sviluppatori, il software consentirebbe di ottenere una riduzione pari all’80% in termini di risorse umane impiegate per la pianificazione delle spedizioni, una riduzione pari al 14% dell’impatto sull’ambiente, grazie anche alla riduzione pari al 15% del chilometraggio percorso.

Risultati non trascurabili, rilevati sugli attuali 16 Clienti, ovvero aziende di differenti dimensioni (dai 15 agli 800 mezzi) che effettuano dalle 15 alle 50 consegne al giorno, che trasportano prodotti alimentari, beverage o personal care ai diversi livelli della supply chain.

PureDenim: chimica sostenibile per la tela blu più amata

Il Denim, tessuto reso celebre da Levi’s Strauss a partire dal 1890, continua a essere uno dei materiali preferiti nel panorama della moda. La sua produzione ha radici salde anche nel contesto insubrico, con diverse Aziende specializzate nel suo processo manifatturiero. Tra queste, spicca la realtà di Candiani SpA e la sua controllata Candiani Denim, di cui abbiamo spesso raccontato. Oggi parleremo invece di PureDenim, Azienda con sede a Inverano, nata dalle ceneri della storica Italdenim, fondata nel 1974 da Mario Caccia. Oggi sono i figli Luigi e Ilaria a portare avanti l’esperienza della famiglia.

La celeberrima tela blu, oltre ad essere ampiamente diffusa e di conseguenza prodotta in volumi considerevoli, richiede processi di lavorazione particolarmente impattanti a livello ambientale: per questo è necessario ridurre l’uso di sostanze chimiche impiegate nella sua produzione e ragionare sulla considerevole quantità di acqua impiegata. Italdenim, in collaborazione con Canepa SpA, aveva precedentemente esplorato soluzioni innovative e sostenibili per il trattamento del tessuto denim utilizzando il chitosano, un polisaccaride ottenuto dai gusci dei crostacei. Questa iniziativa si inseriva nel percorso dell’Azienda, che aveva aderito al Programma Detox di Greenpeace, dimostrando così un impegno concreto.

Consapevoli di una nuova sensibilità e dell’evolversi delle tecnologie, PureDenim ha deciso di gestire internamente le fasi di tinteggiatura e finissaggio. Tra le innovazioni sviluppate in casa, spicca Smart Indigo, un macchinario che trasforma la polvere di indaco in un colorante liquido utilizzando solo soda caustica, acqua ed elettricità. PureDenim ha acquisito i diritti di licenza di questo processo, originariamente sviluppato dal chimico svizzero David Crettenand e lo ha trasformato in un efficiente metodo industriale basato sull’elettrolisi. L’Azienda oggi è in grado di produrre indaco, verificarne la qualità, misurarlo e introdurlo nei bagni di tintura con un approccio innovativo e sostenibile. Questa metodologia consente infatti un significativo risparmio di acqua e ne semplifica il processo di riciclo.

Troppi Brand si concentrano sul materiale, mentre affrontare i processi produttivi cambiando radicalmente i paradigmi può rivelarsi molto più efficace. Nella produzione di un metro di denim, il cotone rappresenta solo il 10% dell’impatto inquinante, il resto è generato dai lavaggi e della produzione tessile, è qui che bisogna agire

Luigi Caccia, fondatore, intervistato da FashionNetwork.com

Il macchinario Smart Indigo è affiancato da EcoSonic, un trattamento ad ultrasuoni utilizzato per la tintura e il lavaggio del tessuto, capace di abbattere il consumo energetico del 40% rispetto ai processi convenzionali e utilizzando solamente 0,53 litri di acqua per ogni metro di tessuto.

Trattamento sviluppato grazie alla collaborazione con la start-up israeliana SONOVIA

NaturalReco, impiegato nella fase di finissaggio, ha permesso l’eliminazione completa dell’alcool polivinilico, noto come PVA, abbattendo il rilascio di microplastiche durante i lavaggi industriali e domestici. Questo prodotto, realizzato interamente da scarti alimentari industriali, protegge il filato durante la lavorazione e ne favorisce l’incollaggio.

ColorDenim, l’ultima innovazione introdotta in collaborazione con la sede comasca di Zaintex SpA, un’azienda chimica specializzata in coloranti e ausiliari per l’industria tessile, consente di colorare il denim solo nelle quantità necessarie, tingendo esclusivamente i fili di ordito. Questa novità consente la tintura di piccoli lotti personalizzati, riducendo significativamente gli sprechi e i consumi d’acqua.

Attualmente, PureDenim conta su una forza lavoro di circa venti persone, producendo mezzo milione di metri di denim all’anno e generando un fatturato compreso tra 3,5 e 4 milioni di euro annuali. Grazie alle menzionate innovazioni, l’Azienda ha ottenuto la certificazione Bluesign®, un riconoscimento attribuito alle catene tessili che dimostrano particolare attenzione verso la chimica sostenibile. Questo sigillo conferma l’approccio responsabile di PureDenim e la sua dedizione a pratiche che rispettano l’ambiente.

Pet2Poly, un Progetto Insubrico per il recupero delle microplastiche

Abbiamo più volte parlato di plastiche e microplastiche e di come queste sostanze che danneggiano le nostre acque fino a minare l’ecosistema acquatico e, di riflesso, la salute dell’uomo, stiano spesso innescando progetti innovativi di recupero.

È questo il caso del Progetto attivato qualche anno fa dall’Università di Trieste e Bolzano che ha portato allo sviluppo e al successivo brevetto di un biopolimero eco-compatibile utilizzabile nel settore edile come degno sostituto della lana di roccia o del poliuretano espanso, per l’isolamento termico o acustico.

O, ancora, il caso del Progetto del Gruppo Limonta che nel recuperare le plastiche presenti nel Lago di Como, puntava a produrre un filato di qualità grazie a un progetto di economia circolare.

A far parlare di sé è questa volta l’Università dell’Insubria che, con un gruppo di lavoro coordinato dal Professore Gianluca Molla del Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della vita, ha dato avvio lo scorso ottobre ad un interessante progetto di recupero del rifiuto nocivo.

Finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, si configura come un lavoro di fruttuosa collaborazione tra l’ateneo insubrico e i CNR di Verbania e di Pozzuoli, ognuno attivo in una specifica fase di realizzazione del Progetto. Pet2poly è il nome dell’iniziativa che ha visto il gruppo coordinato dal Professor Molla, attivo nella produzione di un ceppo batterico in grado di convertire il microPet in vanillina, un composto di alto valore che consente poi la produzione di nuovi polimeri sostenibili, grazie alle sue proprietà antimicrobiche, oggetto di studio del gruppo Chimica dei Polimeri e catalisi sostenibile, coordinato dalla Professoressa Lorella Izzo.

Sarà invece compito del CNR di Verbania e, nello specifico, dell’Istituto di Ricerca sulle acque guidato dalla Dottoressa Rosa Zullo, l’ottimizzazione del processo di separazione delle microplastiche dalle acque di scarico degli impianti di trattamento acque siano essi urbani o industriali. Il CNR di Pozzuoli, o meglio, l’Istituto dei Polimeri compositi e biomateriali, coordinato dalla Dottoressa Valentina Marturano, sarà poi impegnato nell’utilizzo dell’acido vanillico estratto a seguito dall’attività insubrica, per la produzione di vescicole antimicrobiche per il rilascio di molecole quali aromi.

Ma Pet2Poly è anche molto altro: ampio spazio verrà dato infatti alla realizzazione di attività di sensibilizzazione della società tutta, per una cittadinanza più consapevole e attenta, più informata, al fine di consentire una gestione sempre più circolare e, dunque, sostenibile della plastica.

Collaborazione uomo-macchina: l’empatia può nascere lavorando insieme

Sempre più spesso sentiamo parlare di intelligenza artificiale, meno frequentemente ci imbattiamo nel termine “Empatia Artificiale”. Il Progetto di cui parleremo oggi si basa infatti sulla creazione di una collaborazione sociale tra umani e macchine, sfruttando le ultime possibilità offerte dall’AI. Non stiamo però ancora parlando di robot che vivono e si relazionano come noi: siamo ancora ben lontani da uno scenario alla “Io, Robot”, celebre film del 2004.

L’obiettivo è invece quello di consentire ai robot di interpretare il linguaggio, i gesti e le emozioni delle persone con cui si interfacciano in un contesto di lavoro e instaurare un dialogo capace di evolvere gradualmente grazie alla continuità di interazione, permettendo un lavoro di squadra partecipativo.

ll Progetto Fluenty, coordinato a livello tecnico dal Laboratorio Automazione, Robotica e Macchine della SUPSI, si basa su alcune unità hardware sviluppate ad hoc e raggruppate sotto il nome “Fluenty Smart Interface”. La prima, associata ad un operatore umano, ha il compito di catturare informazioni uditive, visive e fisiologiche grazie anche a una speciale sensoristica. I dati raccolti ed elaborati vengono quindi trasferiti all’unità R-Fluently, che li interpreta, li traduce in istruzioni per il robot e li invia al controller della macchina. A questo punto, la terza unità associata alla controparte robotica converte le informazioni ricevute in risposte comprensibili all’operatore, tramite messaggi audio, indicazioni su un display o feedback vibro-tattili.

Il dispositivo è attualmente in fase di test per tre specifiche attività, selezionate all’interno di alcune lavorazioni industriali. Approfondiremo a breve i casi di applicazione scelti: è importante sottolineare che il Team di Progetto ha istituito un centro di formazione dedicato chiamato Robo-Gym, dove ricercatori e robot possono interagire al fine di “esercitare il dialogo” e renderlo sempre più fluido. Il laboratorio si trova presso l’Institute of Systems and Technologies for Sustainable Production nei pressi di Lugano.

Come anticipato, tre sono gli ambiti industriali scelti. Nello specifico, operatori e robot collaboreranno nello smontaggio e riciclaggio di batterie al litio, nell’ispezione e nella manutenzione di motori turbogetto, nella produzione di componenti metallici complessi realizzati con tecnologie laser. Tutte lavorazioni che negli anni a seguire verrano sempre più spesso effettuate e per questo scelte come casi studio all’intento del Progetto.

Entrando più nel dettaglio degli obiettivi, il consorzio internazionale di 22 partner, confida di arrivare ai seguenti risultati: 

  • Per il caso studio dedicato al riciclaggio delle batterie, il Team di lavoro auspica di automatizzare le attività di smontaggio più delicate, in quanto mettono a rischio l’operatore a esalazioni tossiche e potenziali esplosioni. Oggi queste operazioni sono interamente svolte manualmente, in quanto l’esperienza umana è determinante al fine di concludere correttamente le operazioni di smontaggio. La collaborazione continua e l’apprendimento mediante AI dovrebbe permettere al robot di acquisire tale sensibilità decisionale.
  • L’ispezione e l’eventuale riparazione di motori turbogetto dovranno sempre assicurare elevati standard di sicurezza: in questo contesto, l’esperienza dell’operatore umano potrebbe essere essenziale anche in futuro. Ciononostante, una proficua cooperazione tra le parti potrebbe portare ad una generalizzazione delle tecniche di ispezione, assegnando alcuni compiti secondari ai robot. 
  • Anche nel terzo caso in esame, l’intervento valutativo ed esperienzale dell’operatore è oggi fondamentale. La diversa tipologia di prodotti realizzati attraverso molteplici macchinari, non permette un’automazione nel set dei parametri e nella sequenza di lavorazione, cosa che invece potrebbe trovare una propria autonomia nella buona riuscita della formazione empatica.

L’impatto dell’intelligenza artificiale sul lavoro e sulla quotidianità

Le aziende non possono evitare di fare i conti con l’intelligenza artificiale e le tecnologie 4.0, oggi essenziali alle attività imprenditoriali a prescindere dal settore di appartenenza. Quella dell’AI è una tematica che non riguarda solo le imprese, ma coinvolge, genericamente, la quotidianità di lavoratori, famiglie e individui, e sulle cui prospettive è utile fare il punto.

Un argomento recentemente dibattuto anche nel convegno “Intelligenza artificiale: quali politiche a servizio di imprese e famiglie?” presso Sala Molinari a Varese e organizzata da First Cisl dei Laghi in collaborazione con Etica, dignità e valori – Associazione Stakeholders delle Banche e delle Assicurazioni. L’incontro è stato un’occasione per riflettere sull’impatto che digitalizzazione e AI hanno sul mondo del lavoro e sulla società.

L’intelligenza artificiale rappresenta un’opportunità di crescita e business che i manager non possono ignorare e che devono imparare a padroneggiare. Un alleato che non si sostituisce all’uomo, ma che ne completa il potenziale e che permette di svolgere analisi strategiche altrimenti non gestibili. Le tecnologie hanno permesso nel tempo di condurre il focus dal prodotto al cliente e alle sue peculiarità, la sfida futura è quella di sfruttare il potenziale 4.0 al fine di porre al centro la persona in senso più ampio.

Tecnologie e qualità della vita, ne è un esempio la startup Avanchair. Tra i relatori del convegno anche Andrea Depalo, fondatore insieme a Emilio Rigolio dell’iniziativa imprenditoriale nata intorno all’idea di sviluppare una sedia e rotelle innovativa, atta a migliorare in modo significativo la mobilità dei suoi utenti. Andrea Depalo ha spiegato come l’AI e i big data possano essere alleati cruciali anche in ambito sanitario.

La giovane realtà imprenditoriale, con sede a Milano e a Busto Arsizio, ha realizzato e brevettato Avanchair One, un dispositivo dotato di sistema di traslazione e stabilizzatore laterale che permettono all’utilizzatore di avvicinarsi facilmente e con maggiore autonomia alle superfici da raggiungere, con le quali la seduta riesce ad allinearsi.

Alla base dell’invenzione il desiderio di agevolare i movimenti di chi ha disabilità motoria, problema riguardante l’1% della popolazione mondiale, ed è costretto ad affrontare le difficoltà quotidiane legate a ogni tipo di spostamento, anche il più comune. A differenza delle altre sedie a rotelle, Avanchair One, brevettata in diversi Paesi, tramite il proprio sistema integrato genera movimenti verticali e orizzontali che permettono in sicurezza all’utente di raggiungere agevolmente superfici domestiche e non mantenendo salda la propria seduta.

Per il momento non sono state integrate funzionalità AI in Avanchair One, ma si tratta di un’ipotesi al vaglio che insieme all’impiego di big data garantirebbe la risoluzioni di altri problemi che i disabili motori si trovano ad affrontare, quali la possibilità di assicurare l’ausilio utilizzato contro danni e furti o fornire alle imprese produttrici dati sull’impiego quotidiano di tali dispositivi che permettano loro di comprendere gli effettivi ostacoli affrontati dall’utente, in modo da orientare i propri design verso una maggiore utilità.

Tecnomec SA, da officina meccanica a fucina d’innovazione

Nelle storie di innovazione delle Aziende nella zona insubrica di cui scriviamo, troviamo spesso un elemento comune: la spinta al progresso non è vincolata a un singolo Progetto, ma è piuttosto una direzione seguita negli anni con dedizione.

La realtà di cui parleremo oggi ne è un perfetto esempio: Tecnomec SA, fondata nel 1981 ma acquisita dalla Famiglia Mossi nel 2008, è riuscita a quintuplicare fatturato e macchinari grazie a investimenti mirati in ricerca e sviluppo, nonché all’acquisizione graduale di piccole imprese avanzate e all’istituzione di spin-off di successo. Parleremo oggi infatti anche di 03ZY SA, istituito nel 2020 come evoluzione di un Progetto interno nato durante la pandemia da COVID-19.

Grazie alla completa indipendenza operativa, agli investimenti dedicati al parco macchine e alla ricerca costante dell’eccellenza, l’Azienda, inizialmente fondata per svolgere lavorazioni meccaniche per conto terzi, oggi offre una completa gamma di servizi, che spaziano dalla fresatura alla stampa 3D, dall’elettroerosione all’alesatura. Tutte queste lavorazioni si distinguono per il loro standard qualitativo estremamente elevato, eseguite con una precisione al micron, utilizzando apparecchiature avanzate che si mantengono costantemente al passo con le ultime tecnologie.

Abituata a sviluppare direttamente in casa le migliori soluzioni per soddisfare le proprie esigenze, Tecnomec SA si è aggiudicata lo scorso anno il Prix SVC Svizzera Italiana, assegnato ogni biennio alle eccellenze imprenditoriali considerate modelli da seguire per la nuova generazione.

È evidente come il continuo investimento in ricerca e sviluppo abbia giocato un ruolo fondamentale nel successo di questa Azienda. Nel 2013 l’attuale CEO James Mossi fondò lo spin-off Astes4 SA, basato su un suo brevetto dedicato all’automazione del taglio della lamiera. Questa realtà venne acquisita quattro anni dopo dal colosso giapponese Mitsubishi Electric.

Nel 2020 è nata invece 03ZY SA, la quale produce sistemi di disinfezione per aria e superfici, protetti da brevetti internazionali e supportati da studi scientifici dedicati. Come anticipato, il prototipo era stato sviluppato per garantire l’integrità aziendale durante la pandemia. Questo Progetto rappresenta, già a questo primo stadio, un esempio tangibile della determinazione e della competenza che caratterizza il team di Tecnomec. Successivamente, il Progetto ha preso una direzione diversa, focalizzandosi sull’obiettivo di ridurre le infezioni nosocomiali, ovvero quelle contratte da pazienti o dipendenti a causa della permanenza o dell’attività lavorativa in un ambiente ospedaliero. L’apparecchiatura sviluppata in collaborazione con gli Istituti Clinici Maugeri utilizza l’ozono per sanificare raggi ultravioletti quando sono presenti persone o animali – eliminando agenti patogeni come virus, muffe, batteri e spore. Il prodotto è dotato di un’interfaccia digitale gestibile da remoto e di sensori di ultima generazione.

Gli ultimi progetti di ricerca e sviluppo stanno invece esplorando un nuovo sistema di stoccaggio dinamico dei materiali, progettato e sviluppato integralmente da Tecnomec. Collaborando già in settori diversificati, che spaziano dall’aeronautica al settore medico, l’Azienda mira costantemente a investire in campi sempre più avanzati: nel loro Futuro c’è l’Additive Manufacturing come l’Urban Air Mobility.

Candiani di nuovo protagonista della sostenibilità

Sempre più spesso Candiani si distingue per innovazione e sostenibilità. Ne abbiamo parlato già molte volte, come molte volte abbiamo parlato di questo binomio sempre più prioritario. Il tessile non indietreggia nell’impegno a una produzione che rispetti l’ambiente e ne è una dimostrazione lampante il numero elevato di volte in cui abbiamo trattato il tema su questo Osservatorio.

Di un anno fa l’articolo riguardante l’innovativo tessuto di Candiani nato da un ambizioso progetto di ricerca che ha consentito di creare un tessuto elasticizzato sostenibile, senza quindi l’utilizzo di gomme sintetiche. Candiani Denim, produttore di tessuto in jeans innovativo, dopo 4 capsule collection ha finalmente presentato ufficialmente il brand Coreva Design di Alberto Candiani. Un tessuto che è diventato anche un brevetto: un denim stretch, naturale e biodegradabile.

Non un tessuto elasticizzato derivante dalla plastica, ma un tessuto il cui ingrediente principe è una gomma naturale derivante da agricoltura rigenerativa, responsabile e consapevole, dalle notevoli proprietà elastiche, equiparabile all’elastane, la sua alternativa sintetica, ma senza danni per l’ambiente.

Il brand sperimentale ha un’elevatissima scalabilità e mira a influenzare il mercato, divulgando sempre più la tecnologia di Candiani. Un design circolare dove nulla è lasciato al caso, a partire dall’etichetta in Polive, un materiale biosintetico, biodegradabile e compostabile. Il bottone è invece in metallo, non biodegradabile ovviamente, ma pensato per essere riutilizzato numerose volte, rimuovendolo dal jeans una volta che non sarà più indossabile.

La fascia di prezzo attuale è medio-alta, ma promette una lunga durata e il mantenimento dell’elasticità anche dopo anni di utilizzo. E il suo fine vita gli consente di tornare dall’ambiente da cui è arrivato, diventando fertilizzante per nuove materie prime, con una resa del fertilizzante pari a circa il 24% in più rispetto agli altri compost. Analisi specifiche hanno infatti dimostrato che COREVATM può diventare compost in un arco temporale molto ridotto, inferiore a 6 mesi e che, anzi, già dopo 3 mesi di un campione pari a 300 grammi di tessuto ne restano soltanto 5 grammi.

Un’economia completamente circolare dunque, che pone le basi per una più efficace lotta alle microplastiche conseguenti lo smaltimento dei più diffusi tessuti elasticizzati che pesano per il 35% sul totale delle microplastiche riversate nei mari, pari a circa 0,5 milioni di tonnellate ogni anno.

Il Progetto BRILLIANT facilita l’adozione di robot collaborativi nelle PMI

Ottimizzazione della produzione, sostenibilità e competitività sul mercato: il raggiungimento di questi obiettivi da parte delle imprese manifatturiere di ogni settore implica sempre più la ricerca e l’acquisizione di modelli per l’Industria 4.0. Sfide spesso complesse per le PMI, a causa della difficoltà di reperire le risorse umane, tecniche ed economiche necessarie all’innovazione e trasformazione digitale.

Il sistema BRILLIANT, sviluppato dal Laboratorio SPS – Sistemi di Produzione Sostenibili – dell’Istituto Sistemi e Tecnologie per la Produzione Sostenibile (ISTePS) in collaborazione con Ideal-Tek SA e Holonix srl consiste in una stazione di lavoro robotica intelligente, flessibile e riconfigurabile per l’automatizzazione della produzione. Realizzato in ambito del Progetto Trinity Robotics con i finanziamenti europei inerenti al programma di ricerca e innovazione Horizon 2020, BRILLIANT persegue il duplice obiettivo di agevolare l’adozione di soluzioni collaborative per le PMI e promuovere l’integrazione di cobot all’attività artigianale manifatturiera.

La cella di lavoro BRILLIANT viene impiegata per le operazioni di saldatura, pulitura e lucidatura delle pinzette prodotte da Ideal-Tek, attività svolte per mezzo di un robot collaborativo montato su una stazione mobile. Applicazioni dedicate, semplici e intuitive, permettono di gestire la postazione con una certa facilità e di modificare, all’occorrenza, azioni e finalità delle tecnologie adottate.

Non vi è una sostenibilità finanziaria per noi nel comprare un cobot se non possiamo cambiare quasi ogni settimana le operazioni che deve svolgere. Per Ideal-tek, il rapido design e la configurazione di una cella hanno la precedenza rispetto all’ottimizzazione forzata; l’integrazione facile in celle di lavoro esistenti è preferita rispetto alla completa implementazione di una nuova linea

Salvatore Alivesi, Ideal-tek SA

BRILLIANT adotta le tecnologie i-LiveMachine di Holonix e Intervention Manager di SUPSI. ILVM è la soluzione augmented intelligence in cloud ideata dall’Azienda di Meda, specializzata in tecnologie e software IoT, che permette la gestione remota dei macchinari industriali e dei dati da essi generati. La sua integrazione all’Intervention Manager dell’Istituto di Ricerca elvetico ha fatto sì che il team di ricerca raggiungesse gli obiettivi di progetto in meno di un anno.

Le tecnologie impiegate permettono di ridefinire le sequenze di parte dei programmi in modo da istruire il cobot sulle operazioni da svolgere e poter gestire interventi di emergenza. Agire sulla configurazione e il trasferimento della postazione risulta quindi gestibile agevolmente anche da parte di personale non qualificato.

Batterie strutturali per elettrificare il trasporto del Futuro

Sempre maggiore è l’interesse dedicato al segmento della mobilità elettrica, trainato soprattutto oggi da una questione etica ed ambientale. Gli entusiasmi si placano però incontrando il più grosso limite di questa tecnologia: la durata delle batterie, che come sappiamo hanno un peso ed un ingombro non indifferente. Anche la sicurezza e lo smaltimento degli accumulatori agli ioni di litio presenta dei lati controversi. Da diversi anni, società private ed enti di ricerca, stanno quindi concentrando i loro investimenti nella ricerca di altre soluzioni e tecnologie.

Tra queste, spicca Volta Strucutural Energy. La Società fondata a fine 2020, “dedica” il suo nome al comasco Alessandro Volta, ideatore dell’elettroforo – uno strumento elettrostatico per accumulare cariche – e inventore della pila. Ma parliamo del loro prodotto: un “pannello sandwich” in materiale composito, in grado di immagazzinare energia elettrica attraverso reazioni elettrochimiche, basate sulla tecnologia degli ioni di alluminio. Non solo: possono e devono essere usate come struttura di ciò che viene alimentato.

In altre parole, sviluppano “batterie strutturali”, così chiamate in quanto in grado di immagazzinare energia e allo stesso tempo sorreggere l’oggetto, o in questo contesto, il veicolo.

Volta è nata dall’ambiziosa volontà dei fondatori di voler rivoluzionare il mondo dello stoccaggio dell’energia: i vantaggi d’applicazione nel mondo dell’automotive sono evidenti, ma è il settore aerospaziale quello che più sta scommettendo – e investito – su questa tipologia di “accumulatori senza massa”. Non a caso, a maggio 2022 la Start-Up si è aggiudicata due anni d’incubazione presso l’ESA-BIC “The European Space Agency Business Incubation Centre” di Torino, e sempre nello stesso periodo, ha partecipato alla Business Innovation Factory di Leonardo. Il Team – composto da Tommaso Randolfi, Gabriele Consiglio e Chiara Mirani, non a caso, si era conosciuto durante gli studi di Ingegneria Aerospaziale al Politecnico di Milano.

A Maggio di quest’anno invece, Volta è stata proclamata vincitrice del Contest of Space Start-Ups”, iniziativa interamente dedicata alle tecnologie che potrebbero aiutare a plasmare il Futuro della presenza umana nel cosmo.

Il giro di finanziamenti ha poi continuato a crescere, così che oggi, la loro batteria è stata ingegnerizzata al punto da affacciarsi ai primi mercati di destinazione. Il prodotto, come già accennato, si presenta pannelliforme, con una densità paragonabile ai comuni materiali metallici, dallo spessore di pochi millimetri. A tal proposito, vi condividiamo qui un’interessante intervento di Tommaso Randolfi, CEO e co-fondatore, al Green & Blue Festival | Earth for All avuto luogo lo scorso giugno a Milano.